lunedì, agosto 06, 2012

DAL NOTIZIARIO

La storia infinita della Reggia di Carditello: tra abbandono, decadenza, aste deserte e promesse non mantenute

 

Il Complesso monumentale denominato "Real Sito di Carditello"un tempo luogo incantato, realizzato nel 1784 da Ferdinando IV di Borbone su progetto del Collecini, è oggi precipitato in un inarrestabile gorgo di abbandono e decadenza, che fa apparire surreale e malinconica la struttura  ultimamente depredata di tutto quello che si poteva asportare. Cancelli, gradini di marmo delle scale, acquasantiere della cappella, e perfino l'intero impianto elettrico, sono stati rubati e tutto ciò che non poteva essere portato via è stato brutalmente distrutto. La reggia si è, insomma, trasformata in una gigantesca cava di materiali pregiati, che non è difficile immaginare indirizzati verso le oscene ville dei signori della malavita locale.

In merito alla vicenda è intervenuta, Maria Rosaria de Divitiis, presidente regionale Fai Campania, denunciando come ancora ad oggi non si palesi chiaramente la volontà, innanzitutto, di chi, come e quando si possa mettere un punto fermo e definitivo per "salvare" la "Reggia" di Carditello. Troppe fumose iniziative giustamente non consolavano il sindaco di San Tammaro che si è rivolto al Capo dello Stato per non assistere impotente all'assurdo, incalzante pericolo di vedere in mani pericolose quel che resta delle migliaia di ettari bonificati dai Borbone, che avevano impiantato a Carditello un allevamento di cavalli di razza e una moderna azienda agricola con scuderie, stalle, granili, e la produzione di latticini. E un Real sito per la Corte ispirata all'allievo Ferdinando Collecini dal suo maestro Luigi Vanvitelli, un grande complesso contornato dalle abitazioni dei coloni in un'idea di Villa- Masseria che vuol sottolineare uno stile di vita, consono al tempo dei Lumi, ricco di affreschi, sculture, opere d' arte.

E non è mancato certamente il sostegno del nostro presidente della Repubblica Napolitano (che nell'opinione comune rappresenta il faro che può dar luce a tutte le vicende oscure che offendono il nostro Paese). Il suo incontro con il sindaco e quanti si sono rivolti a lui ha dato un ulteriore impulso all'attenzione dei media, alla comunicazione, alla sensibilità di quanti possono prendere atto e denunciare l'urgenza della salvezza di quel che nonostante tutto ancora resta di Carditello, del suo patrimonio, del paesaggio e dell' ambiente oltraggiati dall' orrore e dallo squallore di sversamenti di ogni genere di rifiuti, dalle razzie delle bestie umane che, vanificando le speranze dei restauri effettuati negli anni Ottanta, continuano a devastarlo.

Ma sarebbe riduttivo definire così pesantemente soltanto i vandali che hanno depredato la Reggia. Ben più nobili vandali sono quanti (di diverso colore politico) dopo la legge finanziaria regionale del 19 gennaio 2007 (n.1, art.31, co.19) non hanno dato seguito alla delibera per l'acquisizione del Sito al patrimonio regionale mentre si profilavano le vendite all'asta che dal 2010 per i crediti avanzati dall'ex Banco di Napoli nei confronti del proprietario Consorzio di Bonifica del Bacino del Volturno inferiore si sono svolte regolarmente fino a tutto lo scorso mese di marzo. Da allora si è organizzata una cordata di associazioni, enti, consorzi, comuni, pro loco, clubs e comitati, accanto alle istituzioni (Sun, Soprintendenza ai Beni architettonici del territorio) collegati nell'appello-manifesto "Salviamo Carditello". Accanto a questo manifesto-appello si può tentare ancora di sottoscrivere con una grande catena pubblico-privata una raccolta di fondi atta a intervenire nella vendita all' asta del Sito per la soddisfazione dei crediti del Banco di Napoli. Ma per lasciarlo in proprietà del Consorzio? Questo non significa risolvere il problema, come afferma giustamente il sindaco Cimmino. Bisogna d' altra parte scongiurare il pericolo di veder finire nel possesso di qualche discutibile personaggio questa meraviglia. Già qualche indiscrezione giornalistica fa trapelare il nome di un palazzinaro che si farebbe avanti per farne un resort di lusso. E allora che fare? Acquisire il bene all'asta? Questa ennesima soluzione si è per ora conclusa con un nulla di fatto visto che dopo quella del 12 luglio anche quella del 19 luglio per la seconda volta nel giro di dieci giorni è andata deserta.  Non è arrivata nessuna busta contenente offerte per l'acquisto, da parte di privati, enti o società, dell'ex fattoria borbonica che sorge nel territorio di San Tammaro che continua a vivere in uno stato di profondo degrado senza contare la sua chiusura al pubblico. Il giudice Valerio Colandrea ha aggiornato la eventuale vendita del bene ad altre due date: quella del 17 gennaio 2013 e del 31 dello stesso mese. La prima asta avverrà in maniera tradizionale, la seconda comprenderà anche la formula dell'incanto. Ma la notizia è che il giudice ha anche deciso di abbassare il prezzo del sito da 11 milioni e 250mila euro (la base d'asta di oggi) a 10 milioni. Una soglia sotto la quale difficilmente si scenderà, secondo indiscrezioni trapelate in ambienti giudiziari, anche se dovessero andare deserte le aste del prossimo gennaio.

Il Giudice Colandrea si è espresso anche su un contenzioso che vede da tempo contrapposte l'amministrazione comunale di San Tammaro e quella provinciale: la pulizia delle strade adiacenti il monumento, che lascia davvero a desiderare anche per l'inciviltà di quanti vi sversano materiale di risulta di ogni genere. Per il magistrato il compito di tenerle in maniera decorosa tocca sicuramente agli enti ed entro ottobre vuole che Comune e Provincia trovino un'intesa. La prossima seduta, prevista per gennaio 2013, si aprirà con un'offerta pari a 10 milioni di euro. In tutto ciò le rassicurazioni e le promesse del 20 marzo scorso del Ministro per i Beni e le Attività Ornaghi per scongiurare l'asta di Carditello e l'individuazione reale di risorse  finanziarie  con la collaborazione della Regione che fine hanno fatto?  Sorrisi, speranze, promesse. Da allora nulla è successo e del "Real Sito" non se ne parla più. Problema accantonato. Certamente questo prolungato silenzio è quantomeno sospetto.

Marco Calaci

 

DAL NOTIZIARIO

UFFIZI, BIGLIETTI CON LA "CRESTA"

Il nostro Sindacato denuncia: "Turisti in coda avvicinati da brutti ceffi che vendono ticket, praticamente sono «Bagarini»."

 

Troppe due ore di attesa in fila per accedere alla Galleria degli Uffizi e così il bagarinaggio fa affari d'oro con i visitatori a Firenze. Il fenomeno viene denunciato dal sindacato del settore dei beni culturali Confsal-Unsa. E la stessa Soprintendenza del Polo Museale Fiorentino ammette che negli ultimi tempi sono state fatte denunce ai vigili urbani e ai carabinieri riguardo alla vendita di biglietti per la Galleria degli Uffizi fatta ai turisti in coda da parte di persone esterne al museo, approfittando dello sfinimento dei turisti che, a loro rischio e pericolo, rinunciano a prenotare on-line il biglietto del sito ufficiale del Polo Museale Fiorentino

(uffizi.firenze.it, con commissione di 4.00 euro oltre gli 11.00 del ticket).

«Davanti alle biglietterie per l'ingresso agli Uffizi - afferma in una nota di denuncia il Sindacato - durante le file i turisti lamentano che vengono avvicinati da gente estranea (brutti ceffi) che vogliono vendergli i biglietti di ingresso "differenti", tipo last-minute, naturalmente con sovrappiù, per saltare la fila ed entrare così, immediatamente, nel museo.

I turisti che rifiutano l'acquisto del biglietto offerto da questi estranei, poi vengono scavalcati nella coda da chi invece accetta di comprarlo pur di non attendere troppo tempo. Poi rivolgono le loro lamentele al personale del museo. Il sindacato pone anche il problema su dove queste persone estranee all'Amministrazione riescano a procurarsi i biglietti da vendere ai turisti, dato che i biglietti hanno validità giornaliera e l'ingresso alla Galleria è contingentato (non possono esserci in Galleria contemporaneamente più di 900 visitatori). Inoltre, «Hanno già la prenotazione?», è questa la domanda di fondo che viene rivolta dal Sindacato, dato che la soprintendente Cristina Acidini e il direttore della galleria Antonio Natali avevano detto di voler interessare la Guardia di Finanza dello strano fenomeno del «bagarinaggio» agli Uffizi. «Noi, per la dignità del luogo, e il concessionario della biglietteria della galleria, per i suoi diritti - ha spiegato la soprintendente Cristina Acidini - abbiamo denunciato la situazione alle autorità competenti, tra cui vigili urbani e carabinieri. Per ora risulta che queste persone non sono perseguibili e che non c'è reato».

Queste affermazioni, il Sindacato le rifiuta perché non sono coerenti con quanto discusso e concordato nell'apposita riunione del 4 maggio scorso, dove proprio il Sindacato aveva indicato alla Soprintendente di rivolgersi all'autorità preposta quale la Guardia di Finanza proprio perché non si era in presenza di reati di ordine pubblico (molestia, truffa, estorsione…) o licenza amministrativa annonaria, ma eventualmente di "reati" finanziari o di danno erariale; in effetti, questi soggetti rilasciano poi la fattura, la ricevuta fiscale o lo scontrino, dato che comunque ricevono un corrispettivo anche se "non-profit"? E, comunque, come mai ancora non è stato fatto una monitoraggio che evidenzi questo fenomeno della presenza di estranei alla vendita dei "biglietti con ingresso rapido", ossia di bagarinaggio...

Questo fenomeno, una specie di «bagarinaggio», viene osservato nei giorni in cui si formano lunghe code davanti agli Uffizi a causa delle quali chi non ha prenotato il biglietto rischia di aspettare molto tempo prima di entrare nelle sale, anche un paio di ore. L'acquisto del biglietto da parte di questi rivenditori «non ufficiali» - che ad ogni ticket applicherebbero un piccolo margine di guadagno - consente di saltare la fila. Si lamentano invece con i custodi del museo coloro che rifiutano l'offerta dei «bagarini» e si vedono scavalcare all'ingresso, congestionando di fatto le prenotazioni già esistenti e quindi si vedono arrivare in Galleria un affollamento sgangherato di gruppi.

Learco Nencetti

DAL NOTIZIARIO

IL MiBAC A CORTO DI SOLDI PER PAGARE     BOLLETTE E MANUTENZIONE ORDINARIA DEI PROPRI ISTITUTI, DISTRIBUISCE FIUMI DI EURO AI "SOLITI" CARROZZONI.

 

In dieci anni (2000-2010) ha finanziato quasi 300 milioni al "carrozzone" del maggio musicale fiorentino ed oggi gli paga anche la trasferta in Sud America (oltre 500 mila euro…?)

 

La Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino dal 1999 a oggi non ha mai avuto il bilancio in pareggio o in attivo. Sempre in rosso. Con l'unica eccezione del 2005 quando intervenne il commissario Salvatore Nastasi che, venduta la Longinotti, ricavò otto milioni di euro, pagò i sei di debito e ne lasciò due come base di partenza per l'anno successivo, quando il bilancio tornò in rosso. In definitiva, dal 1999 al 2011 il Maggio ha «collezio-nato» oltre 51 milioni di euro di debiti, mentre lo Stato, nello stesso periodo, al Maggio ne ha erogati quasi 300. Ma non basta: a questi vanno aggiunti gli oltre 40 milioni elargiti dai soci privati, gli oltre 33 del Comune, i circa 23 della Regione e i 5,6 della Provincia. Totale: oltre 400 milioni di euro. La Fondazione Maggio Musicale Fiorentino doveva essere commissariata sin dal 2011. Lo dicono i numeri che, se confrontati alle leggi vigenti, non lasciano scampo. Le Disposizioni per la trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato (decreto Legislativo 29 giugno 1996, n. 367) all'articolo 21 l'autorità di Governo ha previsto che « dispone (cioè non si tratta più di una scelta ma di un dovere, ndr) in ogni caso lo scioglimento del consiglio di amministrazione della fondazione quando i conti economici di due esercizi consecutivi chiudono con una perdita del periodo complessivamente superiore al 30 per cento del patrimonio...».

Rapportando questa norma alla situazione della Fondazione Maggio Musicale Fiorentino appare chiaro che i responsabili del MiBAC non avevano scelta: dovevano commissariare il Maggio. Infatti se noi sommiamo il deficit del bilancio consuntivo 2010 (8,3 milioni di euro) a quello dell'anno precedente (2,3 milioni di euro) raggiungiamo la somma di 10,6 milioni di euro. Secondo la suddetta norma vigente, questa somma non deve superare il 30% del patrimonio disponibile della Fondazione, pena lo scioglimento del consiglio di amministrazione e il commissariamento.

Ma a quanto ammonta il patrimonio disponibile della Fondazione presieduta da Matteo Renzi? Secondo quanto reso noto dalla stessa direzione del Maggio, il patrimonio netto è di 17 milioni di euro.

A questo punto non occorre essere dei grandi geni in matematica per comprendere che 10,6 milioni sono un po' più del 30% di 17 milioni. Per la precisione, rappresentano il 62,4%, ovvero più del doppio della quota, superata la quale, dovrebbe scattare il commissariamento.

Il nuovo teatro del Maggio (dove nella commissione per l'affidamento dei lavori ci stava anche il Dott. Nastasi…) alla fine costerà circa 250 milioni di euro (ne mancano almeno 100 all'appello) per costruire un edificio che, secondo il capitolato per il concorso del 2007, costava 83 milioni di euro, saliti poi a 250 per via di tutte le integrazioni necessarie; non solo: il nuovo teatro prevede tre spazi (una sala grande da 1800 posti, un piccola da mille e la cavea da 2500) non cumulabili. Salta all'occhio subito il fatto che, rispetto all'attuale Teatro Comunale di Corso Italia, (che ha una capienza di 2mila spettatori) nel nuovo teatro si son persi 200 posti. E spesi 250 milioni di euro. Roba da pazzi! E per non parlare delle spese di gestione dell'immenso baraccone, improponibili senza l'intervento di sponsor.

La patrimonializzazione di un bene non completamente funzionante, costruito su un terreno non di proprietà comunale, sembra essere ai limiti della legalità. Non a caso uno dei membri del cda del Maggio, ex Sindaco Primicerio, proprio un anno fa ( luglio 2011) ha rilasciato un'intervista affermando che secondo lui non era possibile questa operazione e che comunque doveva decidere il MiBAC.

La lirica soffre e, nei confronti degli altri settori dello spettacolo afferenti al Mibac, rappresenta un tumore. Dallo Stato – che ogni anno finanzia gli spettacoli dal vivo attraverso il Fus (Fondo unico dello Spettacolo) – la lirica "succhia" risorse oltre ogni limite (dettato dal buonsenso), ma restituisce poco o niente. Insomma, soldi spesi male, buttati, tolti al resto del mondo dello spettacolo italiano che, al contrario, si dimostra assai più produttivo rispetto alle risorse che riceve. E non si tratta di opinioni ma di numeri, cifre impietose che gettano nuovamente luce su una situazione giunta ormai a un livello di assoluta insostenibilità. Secondo il report del MiBAC, denominato Minicifre della Cultura 2011, nel 2010 si sono tenuti 179.196 spettacoli dal vivo, che hanno generato 34.066.705 ingressi a pagamento. Sempre nel 2010 gli spettacoli di lirica sono stati 3102, per un totale di 2.063.736 biglietti staccati. Nel caso del numero degli spettacoli, quelli di lirica, rispetto al totale, rappresentano l'1,73%; a livello di biglietti staccati non si va oltre il 6,06% del totale. Cifre minime, perfino risibili se confrontate agli altri settori dello spettacolo. Infatti a fare la parte del leone, a livello di biglietti staccati, c'è il teatro (14.604.764), seguito dai concerti di musica leggera (7.285.525 biglietti staccati) e dai concerti classici (3.308.821).

L'aiuto del MiBAC, tuttavia, non segue un criterio comprensibile, ma obbedisce a logiche che non hanno niente a che vedere col buonsenso e con la corretta gestione del denaro pubblico. Infatti il Fus, che nel 2010 ammontava a 334.278.000 di euro, per il 59,26% (pari a 198.078.000 di euro) è andato alle (sole) 14 fondazioni liriche italiane. Queste però sono le stesse che staccano il 6,06% dei biglietti degli spettacoli dal vivo. Chiunque si accorgerebbe della sperequazione e si chiederebbe perché lo Stato – cioè noi – dobbiamo finanziare con i nostri soldi una forma di spettacolo che piace così poco ed è così costosa. Senza contare il prezzo del biglietto dei differenti tipi di spettacolo: il prezzo medio di un biglietto per uno spettacolo di lirica in Italia nel 2010 è costato 45,66 euro, mentre quello di musica leggera è costato 26,88 euro; allo stesso tempo uno spettacolo di lirica ha generato mediamente un incasso al botteghino di 30.378 euro, mentre un concerto di musica leggera ha portato 9559 euro per sera: peccato che gli spettacoli di lirica siano stati solo il 15,14% di quelli di musica leggera. Stando così le cose, è evidente che la lirica è sempre più un settore di nicchia, per pochi interessati e che se lo possono permettere. Ma allora, perché lo Stato – con quasi 2 euro su 3 stanziati destinati alla lirica – sceglie di destinare le risorse pubbliche solo a questa forma di spettacolo?

Come se non bastasse, proprio in questi giorni il Cipe ha previsto i primi 12 milioni di euro per finire il nuovo teatro del Maggio. Se non ne arrivano altri 28 questi non serviranno a niente. 40 milioni almeno per far funzionare la torre scenica proporre le opere liriche. Tutti, ma proprio tutti si accorgono che in Italia ci sono ben altre emergenze. Tutti fuorché chi opera - e lo fa senza la necessaria onestà intellettuale - nell'ambito della lirica italiana. A conti fatti, quindi, il Maggio non solo è nella bufera ma, salvo interventi divini (MiBAC?, Nastasi?), difficilmente si salverà nella forma attuale. E con esso tutto il comparto della lirica, che oggi rappresenta un'eccellenza nazionale, soprattutto nel far debiti. E in tempi di spending review questo non è più ammissibile.

Solo il sindaco non capisce che la situazione non è drammatica, ma disperata. E non totalmente per colpa sua, questo sì, è vero.

Giuseppe Urbino

venerdì, agosto 03, 2012

NOSTRO COMUNICATO N.49/12

Fannulloni, Spending Review e noiosità del posto fisso: tanti luoghi comuni con un unico scopo, quello di infangare i servitori dello stato e colpire le fasce più deboli della popolazione.

 

Con l’approssimarsi del periodo feriale, riteniamo doveroso fare alcune sintetiche considerazioni circa la situazione politico-sindacale attuale, alla luce delle drastiche misure prese da questo Governo tecnico che, stando ai risultati ed alle pessime previsioni, sembra nutrire nei confronti del Pubblico Impiego una particolare ostilità.

Ormai è cosa nota che, nel calderone della 'Spending Review' i nostri governanti hanno fatto il possibile e l’impossibile per infilarci misure drastiche e vessatorie nei confronti dei lavoratori pubblici.

Questa 'Spending Review', che altro non significa che “Revisione della spesa”, è stata introdotta dall’ex Ministro dell’Economia Padoa Schioppa, (quello che ha coniato l’infelice termine di bamboccioni, riferito ai nostri figli che non trovano lavoro…), facente parte dell’esecutivo nel Governo Prodi.

In buona sostanza, si tratta dell’analisi dei capitoli di spesa nell’ambito dei programmi delle attività da attuare da parte dei singoli dicasteri al fine di individuare le voci passibili di taglio, per evitare inefficienze e sprechi di denaro.

Il focus di questa azione di bilancio è quello di pervenire a un più efficiente controllo nell’utilità effettiva della spesa pubblica.

Peccato che, come sempre accade, i tagli per evitare inefficienze e sprechi di denaro si sono concentrati nei settori più fragili e già tartassati.

Il settore pubblico, purtroppo, è ormai da anni sotto i riflettori dei Governi che si sono succeduti nel tempo e che lo hanno additato come fonte di tutti i mali del Paese.

Non dimentichiamoci la vergognosa campagna mediatica (seguita purtroppo anche da norme a dir poco vessatorie) che, sotto il Governo Berlusconi, ha infangato l’onorabilità e la dignità dei pubblici dipendenti che sono stati additati come “Fannulloni” dal Ministro Renato Brunetta.

Tornando all’attualità, il sentore è quello di un Governo che, con la scusa di questa benedetta 'Spending Review' vuole creare precarietà toccando settori, come quello pubblico,  che in realtà potrebbe aver bisogno, al massimo, di una riorganizzazione e non di tagli.

Peccato che chi guida questo Governo ha recentemente e candidamente affermato che il posto fisso è noioso…

Forse dimentica che tantissimi giovani disoccupati gradirebbero assai annoiarsi a vita pur di ottenere un lavoro.

Peraltro, battute del genere, dette da chi un posto fisso ce l’ha ( è o non è Senatore a vita?), lasciano il tempo che trovano ma è grave che siano state pensate e dette pubblicamente.

Ad ogni buon conto, e qui veniamo al dunque, la nostra Federazione CONF.SAL-UNSA sin dal primo momento non è stata a guardare e non a caso ha indetto uno sciopero nel mese di dicembre u.s. e due recenti giornate di mobilitazione a Roma.

Il coinvolgimento dei Coordinamenti aderenti alla Federazione è stato massimo e lusinghiero ed anche il nostro apporto si è fatto sentire.

Non dimentichiamoci che anche noi del Coordinamento Beni culturali, siamo sempre stati in prima fila nel denunciare le storture di un sistema che sta mettendo a rischio il nostro futuro e quello dei nostri figli.

Chi ci segue sa che non ci siamo mai tirati indietro nel sostenere la nostra Federazione nelle giuste battaglie che sta portando avanti per le rivendicazioni dei lavoratori pubblici, così come altrettanto abbiamo sempre fatto, (tramite assemblee, comunicati, notiziari, comunicati stampa ecc.ecc.), per denunciare le tutte le storture della pessima  gestione del MiBAC (vedasi rischio esternalizzazioni e poi ancora ARCUS, ALES, allegre consulenze e quant’altro).

Pertanto, da parte nostra, ce la stiamo mettendo tutta per far sentire la voce degli iscritti e dei lavoratori tutti ed i risultati, anche in termine di adesione al nostro sindacato, ci stanno dando ragione.

A proposito di adesione al sindacato, riteniamo utile fare alcune brevi considerazioni sulla necessità, in questo momento storico, di iscriversi alla nostra Organizzazione Sindacale.

Forse qualcuno potrebbe essere titubante o addirittura ostile di fronte all’eventualità di un’iscrizione ad un sindacato.

Noi, per quanto ci riguarda, non possiamo che rivendicare con orgoglio la nostra autonomia, che significa liberi da ogni vincolo partitocratico e lontani da logiche di potere.

Questa linea ci ha sempre contraddistinto e ci ha portato a diventare il primo tra i sindacati autonomi ( la CONF.SAL è infatti la quarta sigla sindacale dopo CGIL, CISL e UIL e, pertanto, la prima fra tutte le sigle autonome).

Il sindacato però è composto di donne e uomini, di lavoratrici e lavoratori che, con la propria adesione, lo rendono numericamente più forte e questo, nel concreto, significa dare la possibilità alla nostra Federazione di avere sempre più peso e potersi confrontare alla pari con tutti i sindacati, soprattutto con i cosiddetti “Confederali”.

Quando parliamo di “peso” ci riferiamo naturalmente alle deleghe, ovvero alle iscrizioni, che sono la linfa vitale del nostro sindacato.

Senza iscrizioni il sindacato, qualsiasi sindacato, è nulla.

Il sindacato rappresenta sì tutti i lavoratori, ma opera su delega dei propri iscritti, quindi non basta essere dei simpatizzanti.

Se si vogliono salvaguardare i propri diritti di lavoratori è indispensabile fare un piccolo sforzo, osare un po’ e compilare la delega di iscrizione che, nel nostro caso, è scaricabile dal sito internet www.unsabeniculturali.it alla voce ISCRIZIONE del menù laterale di sinistra.

Tale delega, debitamente compilata e firmata in tutte le sue parti dovrà pervenire in originale a questo sindacato CONF.SAL-UNSA Coordinamento Nazionale Beni Culturali, c/o Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Via del Collegio Romano, 27 CAP 00186 Roma.

Mai come in questa occasione si rivelerà vero il detto “L’unione fa la forza”.

Buone vacanze a tutti.

 

IL SEGRETARIO NAZIONALE

(Dott. Giuseppe Urbino)