mercoledì, ottobre 23, 2013

NOTIZIARIO ON-LINE SINDACATO CULTURA LAVORO N. 92/13 DEL MESE DI OTTOBRE 2013

Battaglia: “Legge di stabilità: no all’elemosina dei 10 euro al mese nel 2014 da cuneo fiscale, sì allo sblocco dello stipendio!”

 “La Legge di stabilità rappresenta l’ennesimo atto di persecuzione ai danni dei dipendenti pubblici e sta proseguendo nella distruzione dello Stato sociale e dei diritti conquistati e difesi negli anni passati” così si esprime Massimo Battaglia, Segretario generale della Federazione Confsal-Unsa “Il blocco dello stipendio, già fermo dal 2010, che si vuole prorogare con legge fino al 31.12.2014, ha già provocato il drammatico impoverimento di milioni di lavoratori, e mi riferisco con particolare preoccupazione a quelli con redditi medio-bassi, e sta costando ai ministeriali più di 6 mila euro pro-capite, a fronte di un altro aumento dell’Iva, dell’introduzione di nuove tasse quali la Tasi, dell’aumento dei prelievi regionali e comunali e dell’aumento del costo della vita in generale”

Si parla di 10 euro al mese lorde nel 2014 derivanti dal cuneo fiscale nelle buste paga dei lavoratori dipendenti, ma Battaglia afferma “Noi diciamo no all’elemosina, vogliamo lo sblocco dello stipendio!

Il Segretario generale annuncia “a questa Legge di stabilità rispondiamo con una forte mobilitazione nazionale a inizio novembre, perché riteniamo possibili vie alternative, con risparmi per il bilancio pubblico che vengano trovati nella razionalizzazione delle spese, nella vendita reale del patrimonio immobiliare, nell’abbattimento delle spese militari, nella riduzione dei costi della politica, nei tagli agli sprechi di consulenze e di poltrone d’oro, così come nell’abbattimento delle pensioni d’oro.

I politici devono capire che i lavoratori pubblici non hanno bisogno di mance, ma di un salario adeguato per sé e per la propria famiglia, e ciò è un diritto, non una concessione.

La nostra mobilitazione, in assenza di risposte in Parlamento, prevederà anche iniziative eclatanti per ribellarci a questa persecuzione”

 

NOTIZIARIO ON-LINE SINDACATO CULTURA LAVORO N. 92/13 DEL MESE DI OTTOBRE 2013

DDL DI STABILITÀ: LA CERTIFICAZIONE DEL DECLINO?

(UN CONTO SALATO SU STATALI, PENSIONATI, RISPARMIATORI E PROPRIETARI DI CASE)

 

Sembra che gli 880 miliardi annui di spesa pubblica corrente siano tutti indispensabili per il funzionamento dell’economia italiana e, quindi, non suscettibili di tagli, fatta eccezione per il pubblico impiego.

Il messaggio che i mercati finanziari ricevono è di una negatività assoluta. Anche il DDL di Stabilità comprova la debolezza politica dell’attuale Governo e il forte potere di molte lobby, che impediscono al nostro Paese di cambiare rotta.

Neppure la demagogia della spending review inganna i mercati finanziari (cfr. recente nomina di Carlo Cottarelli, dirigente FMI, quale Commissario alla spending review).

In verità nessun governo, neppure il più forte, è riuscito mai a tagliare con intelligenza e buonsenso la spesa corrente italiana, condannando così il nostro Paese ad una lenta agonia.

A fronte di quanto sopra, una pressione fiscale di oltre il 44% che finanzia anche una macchina pubblica improduttiva, fatte le dovute eccezioni, nelle quali primeggia la nostra Amministrazione Finanziaria, per la quale il ddl riserva l’assegnazione di 100 mln di euro per finanziare l’attività ordinaria per la lotta all’evasione e 230 mln di euro per riformare il catasto.

Sostanzialmente una spesa corrente fuori controllo, una penalizzante pressione fiscale sempre in crescita che condanna l’Italia alla non crescita e la rende non appetibile ai capitali internazionali.

Da qui la ricerca all’estero di una realizzazione impossibile in Italia, Paese che rimane, per i più obiettivi commentatori internazionali, irriformabile.

Al di là dell’apparente scontento di industriali, partiti politici e talune confederazioni sindacali v’è da sottolineare che il ddl in rassegna non rilancerà i consumi, non contribuirà a nessuno sviluppo, non fermerà la recessione in atto, laddove è probabile che il Parlamento, con diversi assalti alla diligenza, cambierà la manovra in rassegna, senza incidere sulla sostanza, che possiamo sintetizzare nel “vorrei ma non posso”!!!

La debolezza compromissoria del Governo Letta non riesce ad incidere né sulla pressione fiscale, né sull’evasione fiscale né sulla spesa né, tantomeno, sul debito pubblico.

Il testo della manovra sarà naturalmente licenziato a dicembre con un maxiemendamento che, con molta probabilità, cambierà tutto per non cambiar nulla, laddove molti aspetti della manovra necessiteranno di tanti decreti attuativi che richiederanno molto tempo.

Per noi lavoratori, a conti fatti, un misero aumento di retribuzione netta che oscillerà fra i 10 e i 15 euro netti al mese, visto l’investimento di un miliardo e mezzo nel 2014 per ridurre il cuneo fiscale.

Il varo virtuale della Legge di Stabilità, atteso che il testo ufficiale non esiste ancora, comprova che è ancora alto lo scollamento tra Paese reale e direzione riformista del Governo.

Le misure varate non incidono per nulla sul costo del lavoro, non cambiano l’andamento del Paese né, tantomeno, la visione che si ha sul futuro del nostro Paese.

Andava rilanciata l’economia reale per agganciare una possibile ripresa.

Il presunto saldo positivo della Legge di Stabilità, all’interno del vincolo del 3% comprova che è mancata, nella compagine governativa, non solo una giusta dose di coraggio, ma anche una giusta quota di ambizione. Solo un po’ di buonsenso che si è perso nel penalizzare, ancora una volta, il pubblico impiego. All’orizzonte pesanti incognite su talune stangate fiscali quali accise e service tax (Tari e Tasi). La vera emergenza del nostro Paese non è stata adeguatamente affrontata perché nelle cifre il taglio al cuneo è solo un timido punto di partenza, non certo la scossa di cui hanno bisogno la nostra economia e i nostri salari. Mancano coperture certe e consistenti, infine, per fronteggiare gli impegni assunti per ridurre la pressione fiscale.

La mitologica spending review è rinviata al 2014 e, nelle more, si interviene con tagli lineari. Ricordo, poi, che tra le coperture previste c’è anche una prima tranche di tagli per le agevolazioni fiscali per 500 milioni nel 2014 e il rinvio all’emanazione di un DPCM, entro il 31/3/2014, per definire aumento di accise e prelievo fiscale per diversi miliardi di euro (circa 20 dal 2015 al 2017), evitabile solo con corrispondenti tagli alla spesa corrente attraverso l’ormai mitologica spending review, che, sino ad oggi, ha saputo soltanto penalizzare i lavoratori pubblici. È anche vero, tuttavia, che, laddove la crescita è frutto di una serie di fattori che devono interagire, è anche vero che la ripresa potrà partire da un’inversione del ciclo internazionale.

Da ultimo, è evidente che l’aggressione e la risoluzione dei nodi strutturali della nostra spesa pubblica è un problema che afferisce ai meccanismi che governano il consenso del nostro Paese.

Trattasi quindi di materia politica per eccellenza. Tuttavia, se il motore dell’economia non sarà alimentato con vera benzina, non potrà incrementarsi il Pil nel 2014, laddove gli effetti della manovra in narrativa devono essere valutati nel triennio, rimanendo comunque decisivo il nuovo corso di vigenza della riforma nel 2014. Quanto sopra non giustifica, tuttavia, il perdurare della stretta sul pubblico impiego, sul quale permangono i vincoli alle assunzioni e notevoli risparmi, facendo leva sugli istituti contrattuali: il blocco della contrattazione collettiva che è esteso al 2014, il congelamento fino al 2017 dell’indennità di vacanza contrattuale, la decurtazione di lavoro straordinario, l’allungamento dei tempi nella riscossione del TFR e la rateizzazione dell’indennità corrisposta una tantum comunque denominata e spettante a seguito di cessazioni, a vario titolo, dall’impiego ed, infine, i vincoli alle assunzioni. Per noi lavoratori pubblici, l’analisi di cui sopra non potrebbe tralasciare il rischio di un pesante prelievo sulla casa, visti gli interventi contenuti nel DDL di Stabilità. Al nostro amato Premier un riverente messaggio: un normale lavoratore pubblico se, brevemente, su una bilancia virtuale, somma da un lato il futuro misero aumento in busta paga, riveniente dal taglio al cuneo fiscale, e lo raffronta, dall’altra parte, con l’aumento della pressione fiscale, l’aumento dell’iva, l’aumento della tassazione sulla casa, il taglio delle agevolazioni fiscali, il blocco dell’aumento dello stipendio, il congelamento dell’indennità di vacanza contrattuale, il taglio degli straordinari, l’allungamento riscossione TFS e indennità varie per cessazione dall’impiego e la perdita del potere di acquisto del suo stipendio, non può che rimandare al mittente un’elegante ma intollerabile provocazione. Morale della favola: il salasso sugli statali, ovvero ancora lacrime e sangue, impongono, lungi dallo scaricare sul sindacato, una reazione collettiva nei tempi e nelle forme più opportune, perché occorre, non solo dimostrare ancora una volta che noi non rappresentiamo una spesa improduttiva, ma anche coagulare consenso nell’opinione pubblica e nella classe politica, con l’auspicio che la dirigenza che governa l’A.F. voglia, prima o poi, difendere i propri lavoratori. Quanto sopra, per evitare che alla perdita del potere di acquisto dei nostri stipendi (9 punti percentuali), alla perdita per mancato rinnovo dei contratti, che significa aver lasciato per strada oltre 10.000 euro lordi annui, alle oltre 500.000 unità di personale in meno e ai tagli di straordinari e alla rateizzazione TFR, non si aggiungano anche i licenziamenti di massa, in piena “cura greca”.

La nostra opposizione e quella della CONFSAL è forte e chiara.

Sebastiano Callipo

 

NOTIZIARIO ON-LINE SINDACATO CULTURA LAVORO N. 92/13 DEL MESE DI OTTOBRE 2013

EVASIONE FISCALE: impegno totale ma risultati deludenti Riscosso solo il 10% dell’evasione accertata

 

Sui risultati della  lotta all’evasione si basa quasi esclusivamente, dato che altre soluzioni non sono individuabili per la crisi economica in cui versa il paese, la possibilità di reperire risorse economiche fresche per il buon funzionamento dello Stato.

Questo è almeno quanto si deduce dalle dichiarazioni dei responsabili economici della compagine governativa alla ricerca continua di denaro per coprire le innumerevoli falle che si aprono sul fabbisogno nazionale.

E la lotta all’evasione, malgrado l’impegno e il lavoro indefesso ed improbo condotto dagli organismi preposti a tale scopo, ha dato frutti decisamente limitati se si considera che l’evasione fiscale è valutata attualmente in 270 miliardi di euro l’anno.

In particolare per quello che riguarda il 2012 le cifre relative all’evasione accertata sono assai eloquenti e sono quelle rese note dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’evasione riscontrata e notificata agli interessati relativa al periodo che va dal 2000 ad oggi è stata di 807,7 miliardi di euro che, dopo i procedimenti di adesione o le procedure di contenzioso, si sono ridotti a 545,5 milioni di euro.

Di questi oltre 100 miliardi di euro sono riconducibili a soggetti falliti.

Ben 452 miliardi di euro sono riferibili ad appena 121.409 grandi debitori per importi superiori ai 500mila euro.

Somme, che tuttavia, non si riesce a riscuotere se non in minima parte per carenze legislative e per insufficienze dell’amministrazione che non è messa in grado di assolvere compiutamente ai compiti per i quali è preposta.

Per concludere i soldi realmente incassati dallo Stato ammontano solamente a 69,1 miliardi di euro.

Incomprensibile per noi poveri mortali che al massimo dobbiamo al Fisco qualche centinaio di euro non va mai così bene.

Equitalia e agenzia delle Entrate sono inflessibili e non danno tregua.

Dobbiamo pagare tutto nei tempi previsti ed, eventualmente, con le maggiorazioni previste per i ritardi.

E pensare che con tutti questi soldi buttati al vento per i mancati incassi del Fisco si è sfiorata la crisi di governo per non aver reperito il miliardo di euro  necessario per coprire i mancati introiti dovuti alla soppressione dell’imu.

Vicenda quest’ultima non ancora del tutto conclusa che si sta ripresentando prepotentemente dopo il voto di fiducia al governo dal momento che si è ancora alla ricerca disperata quanto farsesca dell’ormai celebre milione. Viene addirittura  da pensare ad un intervento miracolistico del Sor Bonaventura.

Ma, allora, gli evasori fiscali che con leggi adeguate andrebbero mandati direttamente in galera perché il loro è un delitto contro la società e principalmente contro la sua parte più debole, che li scopriamo a fare se poi, certi dell’immunità, si fanno beffa dello Stato e di tutti coloro che le tasse le pagano o sono costretti a pagarle?

(f.d.l.)

 

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IVA: aumenta l’aliquota, pagano i più deboli

Un tira e molla della politica risoltosi contro il Paese

 

Tanto tuonò che piovve. Naturalmente sulle teste degli italiani. L’aumento dell’aliquota iva dal 21 al 22 per cento più volte paventato, minacciato e oggetto di contrattazione continua tra le parti è divenuto realtà. È mancata la volontà politica per le solite quanto stucchevoli diatribe di bottega. Fatto sta che alla fine non si è trovato il necessario miliardo di euro per scongiurare il rinvio di tre mesi dell’aumento dell’aliquota corrispondente ad una somma irrisoria se rapportata agli enormi sprechi di denaro pubblico ai quali quotidianamente gli  Italiani sono costretti ad assistere e purtroppo a subire senza possibilità alcuna di opporvisi. Apparentemente l’aumento dell’aliquota iva di un punto percentuale sembra poca cosa, ma così non è perché la misura va ad incidere direttamente o indirettamente sul costo di tutti i prodotti, alimentari compresi. Così dal 1° ottobre sono aumentati - e non solo dell’1 per cento visti gli arrotondamenti invariabilmente per eccesso - tutti i beni di consumo tecnologici come televisori, macchine fotografiche, computer, lavatrici, lavastoviglie e tutta la vasta gamma degli altri elettrodomestici nonché i mobili. A tutto questo vanno aggiunti giocattoli, articoli sportivi, strumenti musicali, abbigliamento e tutti i prodotti necessari per la pulizia della persona e della casa. E l’elenco potrebbe continuare a lungo fino a comprendere tutta l’intera produzione nazionale giusto per comprendere meglio il perché dell’affannoso e precario respiro di tante nostre industrie che sono sull’orlo del fallimento sovrastate come sono dalla montagna di tasse con le quali sono costrette a convivere. È anche vero che l’aumento dell’iva al 22 per cento riguarda solo una fascia di prodotti considerati di “lusso” mentre l’aliquota è rimasta al 4 e al 10 per cento a salvaguardia di tutti gli altri prodotti considerati indispensabili per la collettività come i generi alimentari. Pura illusione. Infatti anche questi ultimi ne risentiranno in maniera rilevante perché subiranno per “trascinamento” gli effetti dell’aumento dell’iva del 22 per cento su tutti gli altri prodotti. in particolare faranno da “traino” carburanti e autostrade perché nel nostro paese la quasi totalità delle merci viene trasportata su gomma. Conclusione. La nuova aliquota iva andrà ad incidere ancor più sul potere d’acquisto di lavoratori e famiglie ovvero sui percettori dei redditi più bassi già largamente immiseriti da una serie incredibile di tasse e balzelli vari nonché dal blocco ormai storico di qualsivoglia aumento di retribuzioni e pensioni. L’istat, che nel suo rapporto annuale aveva calcolato la diminuzione del potere d’acquisto del 4,8 per cento considerandola come una “caduta eccezionale giunta dopo un quadriennio caratterizzato da un continuo declino”, dovrà ora rivedere le sue stime al ribasso alla luce proprio della nuova iva. Tutto questo senza che alla fine l’erario ne tragga utili concreti. È il caso dei carburanti, ma l’esempio può essere esteso a tutti gli altri settori commerciali, che con l’aumento dell’iva raggiungono costi insostenibili per lavoratori e famiglie che, inevitabilmente, fanno a meno dell’auto il più possibile. Si verifica così che si vende meno carburante con la logica  conseguenza che diminuiscono gli introiti fiscali. Secondo il Centro Studi promotor nei primi tre mesi dell’anno in corso il gettito di imposte su benzina e gasolio da autotrazione è calato di 870 milioni. È il cosiddetto “effetto Laffer” ovvero la contrazione del gettito per l’aumentare eccessivo delle imposte. Ora, con il nuovo incremento fiscale sui carburanti dovuto all’aumento dell’iva è possibile prevedere che la perdita per l’erario a fine anno potrebbe essere assai vicina ai 4 miliardi di euro dal momento che la situazione non potrà che peggiorare. Le entrate dell’erario diminuiranno ancor più e i cittadini oltre al danno subiranno anche la beffa di sapere che i loro sacrifici sono stati non solo inutili ma del tutto dannosi. Del resto la maggiorazione dell’iva è apparsa subito anche ai più sprovveduti come una manovra fine a se stessa, solo un modo scriteriato per far soldi senza lambiccarsi tanto nel trovare possibili alternative. Eppure bastava solo guardare in casa altrui per trovare adeguate risposte in merito. Anche in Giappone, ad esempio, il premier Shinzo abe ha deciso di portare l’iva dal 5 all’8 per cento ma solo dopo un’accurata indagine circa la fattibilità e la convenienza e perché la situazione economica del paese lo consentiva. inoltre ha motivato la manovra fiscale con la necessità di approntare un preciso piano di provvedimenti sociali per una società in rapido invecchiamento.

E a questo punto, se l’insipienza dei nostri governanti è dovuta a quelle contrapposizioni se non addirittura ripicche infantili tra forze politiche di segno opposto e che nulla hanno a che vedere con le reali necessità dei cittadini, c’è da meravigliarsi del crescere e prolificare di quell’antipolitica che ormai si è diffusa a macchia d’olio in tutto il paese?

Federico De Lella

NOTIZIARIO ON-LINE SINDACATO CULTURA LAVORO N. 92/13 DEL MESE DI OTTOBRE 2013

GOVERNO LETTA

Autentica responsabilità politica e reale governabilità?

La via obbligata: l’alta mediazione e la coesione dell’esecutivo

 

Nella primavera 2013 la Confsal pose con forza l'irrinunciabilità di un Governo che, nella consapevolezza della complessità e della gravità della situazione sociale e economica italiana, potesse operare con prontezza, incisività e coraggio.

La Confsal auspicò, anche, l'avvio di un confronto franco, proficuo e inclusivo fra governo e parti sociali al fine di favorire un processo di corresponsabilità e di consentire, così, ai soggetti generali delle politiche e ai responsabili dei centri decisionali di “fare sistema” per fare uscire il Paese dalla grave crisi economica e per concorrere al superamento del diffuso sentimento di sfiducia.

L'Esecutivo Letta nacque con la problematica configurazione di tre componenti politiche e chiese la fiducia in Parlamento su un programma di governo “essenziale” e certamente non di legislatura.

La Confsal, in piena autonomia e responsabilità, presentò al Governo il suo Manifesto politico-programma-tico approvato dai massimi organi statutari e chiese, nel contempo, l'apertura di un confronto vero con le Parti sociali sulle politiche dello sviluppo e dell'occupazione, del lavoro, del welfare e della previdenza.

Il Governo Letta, prontamente ripiegato sulle emergenze e soprattutto privo di un organico programma di legislatura, ha disatteso le nostre legittime aspettative relazionali e ha prodotto una serie di “piccoli” provvedimenti legislativi in materia di occupazione giovanile, welfare e ultimamente fisco che non sembra stiano incidendo più di tanto sulla situazione socio-economica nel Paese. In sintesi, in questi sei mesi di legislatura, al premier Letta e al suo Governo non si può imputare l'inerzia, ma non si può neanche affermare che l'Esecutivo abbia avuto finora la forza della coesione e il coraggio necessari per fare profonde scelte politiche e per proporre le indispensabili riforme strutturali.

Intanto, la recessione già in atto ha continuato a distruggere posti di lavoro, la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli record, i contratti di lavoro non si rinnovano, le retribuzioni lorde, già in gran parte modeste, sono ridotte da una insostenibile pressione fiscale e la domanda interna continua inesorabilmente a cadere.

L'unico fenomeno che tende a crescere è costituito dalla economia sommersa e dalla evasione fiscale!

Le maggiori Istituzioni e Agenzie italiane e internazionali forniscono costantemente indicatori sociali, economici e finanziari che collocano l'Italia in coda alle classifiche.

Pertanto, se si rapporta la grande portata delle questioni al lieve e impercettibile peso dei provvedimenti governativi la valutazione dei lavoratori, dei pensionati, dei contribuenti onesti e della Confsal non può che essere complessivamente negativa.

Al momento sembra che le fibrillazioni governative e parlamentari siano passate come sembra che sia emersa una certa responsabilità politica nei confronti del Paese.

Ora la domanda che ci poniamo, con tutti i cittadini italiani, è la seguente: “è responsabilità autentica? Sarà governabilità reale?”.

La Confsal, che ha sempre considerato la stabilità politica con la conseguente governabilità un valore fondamentale, auspica che l'attuale assetto governativo e della maggioranza parlamentare possa trovare la coesione e il coraggio indispensabili per fare le riforme, incominciando da quella del fisco con l'approvazione della legge- delega e la pronta emanazione dei decreti attuativi.

Tutto questo può essere possibile se le componenti governative e le forze politiche che sostengono il Governo abbandonano la sterile e dannosa contrapposizione e adottano il metodo della più alta mediazione possibile, che non vuol dire certamente basso compromesso.

Il Governo Letta operi con incisività e equità e percorra così la strada che porta alla fiducia dei cittadini italiani e noi della Confsal garantiamo l'impegno a svolgere, come sempre, il nostro ruolo sociale in piena autonomia e con responsabilità, lealtà e trasparenza.

Il Consiglio Generale della Confsal è convocato nei giorni 23-24-25 ottobre 2013 per dibattere il tema “governare con nuova responsabilità e equità: occupazione – potere d'acquisto – fisco – legalità”.

Le deliberazioni e gli esiti consiliari orienteranno nei prossimi mesi l'azione politico-sindacale della Confsal nei confronti del Governo, che, a cominciare dalla prossima Legge di Stabilità, non può continuare ad eludere le legittime aspettative dei lavoratori, dei pensionati e di tutto mondo del lavoro e della produzione.

Marco Paolo Nigi

 

NOTIZIARIO ON-LINE SINDACATO CULTURA LAVORO N. 92/13 DEL MESE DI OTTOBRE 2013

Verso un decreto Valore Turismo

 Riteniamo utile pubblicare l’intervento del Ministro Massimo Bray alla cinquantesima edizione della fiera “TTG incontri”.

Desidero esprimere il mio più sentito ringraziamento per avermi invitato a prendere parte all’appuntamento* di apertura della cinquantesima edizione della fiera “TTG incontri” , un appuntamento business to business di grande rilevanza internazionale. Sono onorato di trovarmi con voi nella capitale storica delle vacanze degli italiani, nella città dove nacque Federico Fellini. Rimini, uno straordinario luogo di storia del turismo che è nei ricordi di milioni e milioni di italiani che in questa città hanno trascorso piacevoli momenti vacanza. Una destinazione turistica balneare di eccellenza che ha saputo allargare i suoi orizzonti per cogliere nuove opportunità. Voglio dire subito che per l’Italia siete un esempio da seguire, perché a livello nazionale dobbiamo fare di più e meglio per liberare le energie di questo comparto industriale che può dare un contributo importante per la crescita dell’economia italiana.

Da tanti anni in Italia constatiamo e più volte ribadiamo come il turismo costituisca una straordinaria risorsa di crescita per il Paese, e tuttavia – lo dico con la decisa volontà di cambiare la situazione – non riusciamo ancora a compiere un deciso e sempre più necessario salto di qualità. Sappiamo bene come, specie di questi tempi, non sia sufficiente disporre di uno straordinario potenziale turistico, quale è appunto il nostro: anche alla luce della crescente competizione internazionale, appare sempre più urgente dispiegare una adeguata strategia, capace di valorizzare il nostro patrimonio, a partire da quello culturale, ambientale e paesaggistico, per poter vincere le nuove sfide che si giocano a livello globale, negli ormai sempre più vasti scenari internazionali, per consolidare i mercati tradizionali ed agganciando in modo pieno ed innovativo quelli emergenti. Il 2012 è stato un anno record per il turismo a livello mondiale. Per la prima volta nella storia, gli arrivi internazionali nel mondo hanno superato la significativa quota di 1 miliardo, facendo registrare una crescita del 4% rispetto ai dati del 2011.

Questa tendenza di crescita, confermata anche dai dati provvisori del 2013 – è bene non dimenticarlo – è prevista anche per i prossimi anni. I crescenti flussi turistici a livello globale rappresentano la scommessa più importante per il turismo italiano, inderogabilmente chiamato a dare una risposta convincente alle nuove sfide e richieste dei mercati internazionali.

Ma, lo ribadisco, se nel mondo la domanda di turismo continua ad aumentare segnando un deciso trend positivo, in Italia dobbiamo raccogliere appieno le grandi opportunità di questi segnali positivi. Nei primi sei mesi del 2013, infatti, i dati forniti dall’Osservatorio nazionale del turismo indicano che gli arrivi internazionali sono stati sostanzialmente stabili rispetto allo stesso periodo del 2012, mentre le presenze internazionali nei primi sei mesi del 2013 diminuiscono lievemente (-0.4%). (Elaborazioni osservatorio nazionale del turismo su dati ISTAT). Aumenta invece la spesa dei turisti stranieri, e questa è una buona notizia. Secondo i dati della Banca d’Italia presentati il 10 ottobre scorso, nel mese di LUGLIO 2013 le spese dei viaggiatori stranieri in Italia, per 4.530 milioni, sono aumentate del 4,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012.

Nel periodo GENNAIO-LUGLIO 2013 le spese dei viaggiatori stranieri in Italia, per 18.694 milioni, sono aumentate del 2,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012 (Banca d’Italia, dati del 10/10/2013, periodo Gennaio-Luglio 2013).

Anche per quanto riguarda la domanda interna, i primi 6 mesi del 2013 confermano una lieve contrazione degli indici, dovuto in gran parte alla difficile congiuntura economica che le famiglie italiane stanno attraversando.

È tuttavia utile sottolineare, ai fini di una ancor più compiuta analisi del panorama contemporaneo, che qualche, seppur timido, segnale di ripresa sia stato rilevato nelle indagini campionarie relative al periodo estivo del 2013, diffuse dalle organizzazioni degli imprenditori.

Questi segnali di ripresa dell’estate 2013 sono stati segnalati anche da Unioncamere che registra un +2,2% a luglio di occupazione delle camere rispetto al mese di luglio del 2012 e un +3,3% ad agosto.

All’interno di questo quadro – preoccupante per alcuni aspetti legati al nostro comparto, ma al contempo segnato da un trend di ottimismo per i dati più recenti che ne stimola una necessaria evoluzione -, ritengo necessario realizzare un vero e proprio progetto industriale per il turismo, che sappia tenere conto dei grandi mutamenti che hanno interessato il modo di viaggiare, informarsi e scegliere una destinazione. Dobbiamo renderci conto che sempre di più è la domanda che fa l’offerta, non viceversa.

E’ un cambiamento rilevante, direi paradigmatico, notevolmente amplificato dal ruolo dominante del web, dei social network e dei blog, dove ormai una grande parte dei consumatori si informa, interviene, partecipa, fa le sue scelte.

È giunto il momento di mettere nuovamente al centro del nostro progetto il consumatore – che è sempre più informato ed esigente -, puntando sulla diversificazione e sulla qualificazione dell’offerta, sull’innovazione di prodotto, come, del resto, sulle nuove tecnologie.

L’investimento in turismo si orienterà sempre più verso la richiesta le richieste sempre più esigenti dei consumatori, valorizzando la capacità di saper ascoltare le loro necessità e domande.

Proprio i diritti dei consumatori saranno uno dei temi su cui lavorare per una riforma organica del “Fondo di garanzia per i turisti” per estendere il più possibile i casi di copertura del Fondo.

Abbiamo visto proprio nei mesi scorsi con l’Egitto, la necessità di un fondo di garanzia adeguato. Per questo motivo voglio avviare un lavoro con le organizzazioni dei Tour Operator e delle Agenzie di viaggio da un lato e con le organizzazioni dei consumatori dall’altro per rivedere e migliorare il Fondo di garanzia per i turisti ed individuare ulteriori modalità legislative per aumentarne la capienza.

Proprio in questi mesi abbiamo riavviato delle specifiche politiche per il turismo come quelle a sostegno dei distretti e delle Reti di impresa.

I distretti e le reti sono strumenti estremamente flessibile e leggeri che ben si adattano a forme di collaborazione tra soggetti che vogliono valorizzare i punti di forza di un territorio. Il tessuto produttivo italiano è caratterizzato da una stragrande maggioranza di micro e piccole imprese – spesso a carattere familiare – ed è proprio a motivo di questa specifica natura che si pone chiaro il tema della collaborazione formale delle imprese per poter competere in modo sempre più qualificato.

Da un lato emerge la necessità di salvaguardare le specificità dei “Piccoli” in quel tessuto imprenditoriale che rende “Grande” l’economia del nostro Paese e dall’altro è altrettanto opportuno dare vita e sostenere l’efficace sinergia delle reti di impresa, così come sono state individuate dalle recenti leggi in materia di sviluppo.

E’ necessario trovare un nuovo equilibrio tra la specificità delle micro e piccole imprese ed i nuovi percorsi dell’offerta turistica, anche al fine di aumentare la forza di impatto degli stessi attori del settore.

Un equilibrio, mi sembra giusto ricordarlo, che deve essere solidamente fondato sulle specificità territoriali, uniche, identitarie e non delocalizzabili.

Per tali ragioni, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sta predisponendo il bando per finanziare con 8 milioni di euro proprio le reti di impresa. Nel prossimo futuro bisognerà sostenere anche la possibilità per le medie e grandi imprese di integrarsi in rete con le micro e piccole imprese per fare sistema e favorire un prezioso trasferimento di competenze.

Posso confermare il finanziamento e la concreta riattivazione del progetto “Buoni Vacanze”, uno strumento di turismo sociale, a mio avviso importantissimo sia per i cittadini che per le imprese. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha da pochi giorni trasmesso alla Conferenza Unificata Stato-Regioni il decreto che permetterà di assegnare i buoni vacanze con un finanziamento di 5 milioni di euro e sul quale deve esprimere il proprio parere.

Sono passi in avanti significativi per le politiche del turismo che intendiamo continuare a rafforzare nei prossimi mesi.

Intendiamo dedicare una attenzione particolare alle politiche dei trasporti per intercettare i flussi internazionali previsti in crescita. In particolare intendiamo lavorare al potenziamento delle connessioni con i BRIC attraverso partnership strutturate con i vettori aerei. Intendiamo lavorare, inoltre, per aumentare sia la frequenza sia le tratte dei voli low-cost su aeroporti italiani che si trovano in destinazioni a forte potenzialità inespresso, anche in questo caso coordinando gli accordi con i vettori.

È fondamentale favorire l’intermodalità creando appositi piani di connettività tra aeroporti e stazioni ferroviarie.

Ma un piano strutturale, adeguato alla sfida che abbiamo di fronte non potrà non affrontare il tema della presenza o meno di un vettore nazionale.

Personalmente sono convinto che occorrono molte prudenze nei confronti dell’ipotesi del passaggio del nostro vettore nazionale ad una compagnia straniera.

Siamo altresì convinti della necessità di creare una grande holding nazionale dei trasporti, focalizzata proprio sul turismo come business.

Vorrei sottolineare qui il valore del confronto con le Regioni per rafforzare la collaborazione istituzionale. Stiamo lavorando per concludere il percorso di aggiornamento degli standard qualitativi uniformi a livello nazionale che ci porterà presto ad un nuovo quadro normativo che armonizzerà i criteri di classificazione alberghiera. Dobbiamo riprendere con le Regioni il percorso di revisione del Codice del turismo, evitando gli errori del passato. Nel percorso che ha caratterizzato l’approvazione di questo provvedimento è mancata quella necessaria condivisione con le Regioni italiane. Riusciremo per il futuro a trovare un equilibrio tra competenze regionali e necessarie forme di coordinamento nazionale, per raggiungere obiettivi di rafforzamento delle politiche del turismo.

Per intercettare i flussi internazionali previsti in crescita bisogna, innanzitutto, razionalizzare la nostra promozione internazionale, puntando, come ho detto, sul brand Italia e superando ogni forma di frammentazione.

Non sprechiamo opportunità e risorse, concentriamoci su una promozione nazionale forte, a partire dalle più importanti fiere del settore, potenziando la nostra posizione sul web, e affidando funzioni di coordinamento all’Enit per puntare ad una promozione e a una commercializzazione unitaria del sistema Italia.

A Rimini e in Emilia – Romagna conoscete benissimo questo aspetto, l’importanza di una efficace strategia di marketing e di una fattiva sinergia pubblico-privato.

Dobbiamo sviluppare una promozione adeguata in vista dell’Expo 2015 di Milano, un evento straordinario anche dal punto di vista turistico. Anche in questo caso le Regioni devono operare insieme, con l’Enit, perché l’Expo diventi una grande opportunità per l’intero il Paese. Intendiamo lavorare al rafforzamento della collaborazione tra l’Enit e la Farnesina per il rilascio dei visti turistici , utilizzando sempre di più strumenti informatici per velocizzare le procedure ed aumentare il numero dei visti. ENIT, che ho citato più volte, sarà davvero l’agenzia con la missione di coordinare alcune tra le principali strategie per il turismo.

Dobbiamo rafforzare i nostri asseti, individuare le risorse necessarie.

In continuità con il Decreto “Valore cultura”, stiamo predisponendo un pacchetto di norme “Valore turismo”, frutto del prezioso confronto avviato con le Regioni e tutte le organizzazioni del turismo, che raccoglierà anche i principali punti programmatici del Piano Strategico “Turismo Italia 2020” che costituisce un punto di riferimento fondamentale per programmare le politiche per il comparto. Per finanziare azioni di promozione, innovazione tecnologica e di prodotto intendiamo istituire un Fondo nazionale per il turismo. Un Fondo che dovrà sostenere gli investimenti delle micro e piccole imprese, come richiesto anche dalle Regioni. L’innovazione di prodotto è fondamentale per il futuro del turismo italiano. Lo stato e le Regioni devono stanziare le necessarie risorse per rilanciare gli investimenti rallentati ed in molti casi bloccati. Penso innanzitutto alle ristrutturazioni edilizie delle strutture turistico-ricettive e ad appositi contributi per sostenere gli affittuari che intendono acquistare l’immobile in locazione. Intendiamo poi avviare un confronto con l’Associazione nazionale dei Comuni italiani per cambiare l’imposta di soggiorno, armonizzarla a livello nazionale con un apposito regolamento previsto dal federalismo fiscale municipale e non ancora approvato, trasformandola in contributo di scopo per il turismo. Un messaggio deve essere chiaro: in questa difficile situazione economia dell’Italia dobbiamo trovare, insieme, le modalità per finanziare le politiche del turismo. In questi ultimi anni troppo spesso le voci degli operatori di settore – quegli operatori a cui dobbiamo quei risultati positivi di quest’estate e che ci fanno ben sperare – quelle loro voci che chiedono attenzione sono rimaste inascoltate. Troppe volte le energie del mondo pubblico si sono disperse in inutili conflitti di competenza. Ma siete stati proprio voi che vi siete misurati con una terribile congiuntura economica a saper dimostrare una grande capacità di adeguamento ai cambiamenti in atto nel mercato turistico. Adesso tocca a noi fare le scelte; scelte che devono essere capaci di rispondere, dopo anni alle vostre attese, scelte capaci di liberare le vostre energie, le vostre potenzialità, permettendovi di essere competitivi e vincere insieme le sfide che ci attendono.

Nell’affrontare le opportunità che abbiamo di fronte, prima fra tutte EXPO 2015, dovremo poter contare su un significativo intervento di semplificazione amministrativa. Farò tutto il possibile per attuare forme di burocrazia zero per le realtà economiche del settore, provando ad estendere tutti gli strumenti risultati utili per le reti di impresa. In conclusione voglio augurare a tutti voi buon lavoro: ai Ministri del turismo ed ai rappresentanti dei governi dei Paesi esteri; agli amministratori regionali e locali presenti; ai relatori che parteciperanno ai tanti eventi della fiera; agli espositori e tutti i visitatori dell’evento. Sono sicuro che da questo appuntamento emergeranno proposte concrete per il futuro turismo, un comparto che ha delle enormi potenzialità di crescita e può dare un contributo fondamentale per creare nuovo lavoro.

 

 

NOTIZIARIO ON-LINE SINDACATO CULTURA LAVORO N. 92/13 DEL MESE DI OTTOBRE 2013

osservazioni dellA CONFSAL-UNSA per la riforma del Ministero e per il rilancio dei Beni Culturali

 

Così com’è noto, il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali fu istituito da Giovanni Spadolini, (con decreto-legge 14 dicembre 1974, n. 657, convertito nella legge 29 gennaio 1975, n. 5 - g.u. 14 febbraio 1975, n. 43), con il compito di affidare unitariamente alla specifica competenza di un Ministero appositamente costituito la gestione del patrimonio culturale e dell'ambiente al fine di assicurare l'organica tutela di interesse di estrema rilevanza sul piano interno e nazionale (organizza-zione del ministero per i beni culturali e ambientali con d.p.r. n. 805 del 3 dicembre 1975).

Il Ministero raccolse le competenze e le funzioni in materia che erano prima del Ministero della Pubblica Istruzione (antichità e belle arti, accademie e biblioteche), Ministero degli Interni (archivi di stato) e della Presidenza del Consiglio dei Ministri (discoteca di stato, editoria libraria e diffusione della cultura).

Fatte queste premesse, che appartengono alla storia del MiBACT, è bene soffermarsi sul fatto che tale Ministero ha subito nel tempo innumerevoli riforme con cambiamenti di denominazione e di competenze.

Salta subito all’occhio come, con il passare degli anni, tale Dicastero si sia enormemente appesantito e burocratizzato trasformandosi da una struttura snella e facilmente gestibile in una struttura pesante con un numero esorbitante di Direzioni Generali con l’aggiunta delle Direzioni Regionali, al cui vertice vi sono dei Dirigenti Generali.

La prima organizzazione del Ministero (d.p.r. n. 805 del 3 dicembre 1975) prevedeva, a livello centrale:

1. Ufficio Centrale per i Beni Ambientali, Architettonici, Archeologici, Artistici e Storici;

2. Ufficio Centrale per i Beni Archivistici;

3. Ufficio Centrale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali;

4. Direzione Generale per gli Affari Generali Amministrativi e del Personale, cui è preposto un Dirigente Generale.

Orbene, le varie riforme che si sono succedute nel tempo hanno inevitabilmente cambiato la struttura centrale e periferica del MiBACT senza però, ad avviso dello scrivente Coordinamento, ottenere risultati entusiasmanti.

Ad esempio, le competenze delle Direzioni Regionali dovrebbero essere ampiamente riviste e ridimensionate.

Esse potrebbero concentrarsi su funzioni di supporto amministrativo e tecnico (ma solo ove la messa in comune di determinati servizi risultasse di effettivo vantaggio per l’efficacia e l’economicità dell’azione), di coordinamento delle azioni di tutela che coinvolgano beni di natura diversa e – ove occorra - rappresentanza istituzionale del Ministero verso soggetti terzi (senza tuttavia inibire quell’autonomia scientifica e quei contatti diretti di cui Soprintendenze, Archivi di Stato, Biblioteche etc necessitano per consolidare il proprio ruolo di riferimento tecnico gratuito e imparziale in materia di gestione e il loro prestigio di istituzioni culturali, che alimenta tradizioni talora molto antiche di collaborazione con Uffici statali, Enti pubblici e società civile).

In alternativa, la nostra proposta è quella di una totale soppressione delle Direzioni Regionali, centralizzando nuovamente l’azione del Ministero, snellendo così l’azione amministrativa e rafforzando l’azione delle Soprintendenze le quali agiscono prettamente sul territorio e conoscono profondamente la realtà operativa rispetto alla tutela, la conservazione e la fruibilità del patrimonio culturale.

Ciò può rappresentare nuove forme di valorizzazione integrata maggiormente sostenibili nonché un risvolto verso quegli strumenti giuridici più idonei per la governance territoriale, come anche quelli dedicati alla gestione dei singoli luoghi della cultura, al fine di favorire sia un migliore inserimento di musei, aree archeologiche, monumenti, archivi, biblioteche ed altre istituzioni analoghe nell’ambito dei contesti territoriali di riferimento, sia di conferire agli stessi una maggiore flessibilità e snellezza operative.

Una nota a parte merita la Direzione Generale per la valorizzazione del patrimonio culturale che anche se in fase di prima applicazione non ha rispettato gli ampi propositi circa la sua istituzione, tuttavia nel tempo si è dimostrata una novità di successo per l’immagine del Ministero per le appropriate iniziative messe in campo e per lo studio metodologico sui flussi museali e gli eventi straordinari voluti fortemente dall’attuale Ministro Bray e questo anche grazie alle competenze dimostrate dall’attuale Direttore Generale.

In buona sostanza, mai come in questo caso vale il detto “Tanti capi nessun capo” ovvero dove ci sono tanti a impartire disposizioni non si riesce più a capire chi veramente comanda.

Tornando alle Direzioni Regionali è cosa ormai nota che alcune di esse si sono recentemente sostituite alle competenze di quello che una volta era chiamato il Superiore Ministero.

Di particolare rilievo riveste la figura del Segretario Generale, che benché sia di recente introduzione, nel tempo si è dimostrata una palese e sovrastante struttura fortemente burocratica che rispondendo solo agli organi politici asseconda gli stessi senza quella particolare separazione tra politica ed amministrazione che invece dovrebbe presiedere il rapporto nella Pubblica Amministrazione.

Infatti, troviamo incorporata nella figura del Segretario Generale incarichi che si intrecciano con la sfera della dovuta trasparenza e legalità, che potrebbe andare ben oltre ai compiti primordiali di una buona Amministrazione e questo lo si riscontra, ad esempio nel fatto che il Segretario Generale risulta essere anche il responsabile del controllo sulla corruzione. Non ci vuole un genio per capire che ciò sarebbe dovuto essere nelle mani di un soggetto terzo. Gli esempi sarebbero innumerevoli ma tralasciamo per ora di annoverarli.

Da una lettura dei compiti e delle attribuzioni del Segretario Generale, possiamo facilmente distinguere che talune posizioni possono essere ingigantite sotto l’aspetto para politico quasi un doppione di altre funzioni o Uffici di diretta collaborazione con il Ministro, anch’essi dotati di autonomia funzionale e che rispondono ovviamente all’Organo politico.

L’impressione che facilmente ne trae è che vi è il rischio che nella stessa persona siano raccolte più funzioni di ambito tecnico –amministrativo – politico che possono rendere superflua l’azione amministrativa nei rispettivi ambiti e ruoli della parte restante dell’alta burocrazia e che comunque rafforzano oltremodo la funzione del Segretario Generale il quale può disporre sotto l’ampio ombrello della copertura politico-istituzionale, discrezionalmente la conduzione, la gestione e la direzione degli organi sottoposti.

Peraltro è sotto gli occhi di tutti che il MiBACT è carente di una vera e propria politica occupazionale soprattutto per quanto riguarda alcuni profili tradizionalmente propri per le specificità che tale Ministero rappresenta.

Inoltre non dobbiamo dimenticarci delle possibilità di attingere a graduatorie preesistenti e, più precisamente, a quelle degli idonei ai processi formativi di riqualificazione interna del personale.

Anche in questo caso il MiBACT si è dimostrato generosamente dissipatore di soldi pubblici vista l’immensa macchina che all’epoca si mise in moto per organizzare i corsi di formazione, le relative commissioni e sotto commissioni e il sostenimento degli esami finali da parte dei partecipanti.

Il personale del MiBACT ha un’età media di circa 55 anni e un’anzianità di servizio superiore ai 30 anni. Orbene la maggior parte di questo personale vive il lavoro nel MiBACT in modo alienante e sfiduciato, senza più quelle prospettive legittime che aveva al momento dell’assunzione.

Occorre quindi reclutare in tempi rapidi e attingendo da tali graduatorie tutte quelle figure professionali necessarie al buon andamento del Ministero trovando le necessarie risorse anche in tempi di crisi come quelli attuali, che tengano conto della non ordinarietà del MiBACT rispetto alle classifiche stilate nei confronti di altri Ministeri dal momento che il MiBACT, essendo un Ministero della Cultura e del Turismo, può essere un valido volano per lo sviluppo e la crescita di questo settore in Italia, non ultimo prendendo in seria considerazione l’indotto che ruota attorno ad esso.

Assistiamo negli ultimi anni ad una molteplice creazione di Società in House messe in piedi per soddisfare più il politico di turno che per vere e proprie esigenze legate al mondo della cultura.

Si creano così dei paradossi in quanto le funzioni proprie del Dicastero che potrebbero essere assolte direttamente dallo stesso, vengono in realtà demandate a tali società con i finanziamenti che in taluni casi sono anche al 100% del nostro Ministero o in altri casi con finanziamenti del Ministero dell’Economia o altri che scandalosamente sovvenzionano, come del resto è già avvenuto in passato, Enti o quant’altro in forma ai limiti della legalità.

Tali Società (Ales, Arcus, Mirabilia, etc.) vanno chiuse ed il relativo personale assorbito nei ruoli del MiBACT.

Tenendo conto di quanto sopra esposto, riteniamo che nell’elaborazione di una rideterminazione di quello che dovrebbe essere la struttura ministeriale del futuro, si debba necessariamente partire dal concetto “cultura” nel senso stretto del termine e cioè, la cultura non intesa come l’effimero quotidiano dell’evento ricercato, ma una sana e pianificata diffusione a carattere nazionale sul piano dell’ordinarietà assicurando così contemporaneamente quell’importanza di questo particolare settore nei confronti dell’ampio pubblico a cui un servizio di qualità e non solo di quantità deve essere salvaguardato in tutti i suoi aspetti e peculiarietà con il territorio.

Giuseppe Urbino