mercoledì, ottobre 23, 2013

NOTIZIARIO ON-LINE SINDACATO CULTURA LAVORO N. 92/13 DEL MESE DI OTTOBRE 2013

DDL DI STABILITÀ: LA CERTIFICAZIONE DEL DECLINO?

(UN CONTO SALATO SU STATALI, PENSIONATI, RISPARMIATORI E PROPRIETARI DI CASE)

 

Sembra che gli 880 miliardi annui di spesa pubblica corrente siano tutti indispensabili per il funzionamento dell’economia italiana e, quindi, non suscettibili di tagli, fatta eccezione per il pubblico impiego.

Il messaggio che i mercati finanziari ricevono è di una negatività assoluta. Anche il DDL di Stabilità comprova la debolezza politica dell’attuale Governo e il forte potere di molte lobby, che impediscono al nostro Paese di cambiare rotta.

Neppure la demagogia della spending review inganna i mercati finanziari (cfr. recente nomina di Carlo Cottarelli, dirigente FMI, quale Commissario alla spending review).

In verità nessun governo, neppure il più forte, è riuscito mai a tagliare con intelligenza e buonsenso la spesa corrente italiana, condannando così il nostro Paese ad una lenta agonia.

A fronte di quanto sopra, una pressione fiscale di oltre il 44% che finanzia anche una macchina pubblica improduttiva, fatte le dovute eccezioni, nelle quali primeggia la nostra Amministrazione Finanziaria, per la quale il ddl riserva l’assegnazione di 100 mln di euro per finanziare l’attività ordinaria per la lotta all’evasione e 230 mln di euro per riformare il catasto.

Sostanzialmente una spesa corrente fuori controllo, una penalizzante pressione fiscale sempre in crescita che condanna l’Italia alla non crescita e la rende non appetibile ai capitali internazionali.

Da qui la ricerca all’estero di una realizzazione impossibile in Italia, Paese che rimane, per i più obiettivi commentatori internazionali, irriformabile.

Al di là dell’apparente scontento di industriali, partiti politici e talune confederazioni sindacali v’è da sottolineare che il ddl in rassegna non rilancerà i consumi, non contribuirà a nessuno sviluppo, non fermerà la recessione in atto, laddove è probabile che il Parlamento, con diversi assalti alla diligenza, cambierà la manovra in rassegna, senza incidere sulla sostanza, che possiamo sintetizzare nel “vorrei ma non posso”!!!

La debolezza compromissoria del Governo Letta non riesce ad incidere né sulla pressione fiscale, né sull’evasione fiscale né sulla spesa né, tantomeno, sul debito pubblico.

Il testo della manovra sarà naturalmente licenziato a dicembre con un maxiemendamento che, con molta probabilità, cambierà tutto per non cambiar nulla, laddove molti aspetti della manovra necessiteranno di tanti decreti attuativi che richiederanno molto tempo.

Per noi lavoratori, a conti fatti, un misero aumento di retribuzione netta che oscillerà fra i 10 e i 15 euro netti al mese, visto l’investimento di un miliardo e mezzo nel 2014 per ridurre il cuneo fiscale.

Il varo virtuale della Legge di Stabilità, atteso che il testo ufficiale non esiste ancora, comprova che è ancora alto lo scollamento tra Paese reale e direzione riformista del Governo.

Le misure varate non incidono per nulla sul costo del lavoro, non cambiano l’andamento del Paese né, tantomeno, la visione che si ha sul futuro del nostro Paese.

Andava rilanciata l’economia reale per agganciare una possibile ripresa.

Il presunto saldo positivo della Legge di Stabilità, all’interno del vincolo del 3% comprova che è mancata, nella compagine governativa, non solo una giusta dose di coraggio, ma anche una giusta quota di ambizione. Solo un po’ di buonsenso che si è perso nel penalizzare, ancora una volta, il pubblico impiego. All’orizzonte pesanti incognite su talune stangate fiscali quali accise e service tax (Tari e Tasi). La vera emergenza del nostro Paese non è stata adeguatamente affrontata perché nelle cifre il taglio al cuneo è solo un timido punto di partenza, non certo la scossa di cui hanno bisogno la nostra economia e i nostri salari. Mancano coperture certe e consistenti, infine, per fronteggiare gli impegni assunti per ridurre la pressione fiscale.

La mitologica spending review è rinviata al 2014 e, nelle more, si interviene con tagli lineari. Ricordo, poi, che tra le coperture previste c’è anche una prima tranche di tagli per le agevolazioni fiscali per 500 milioni nel 2014 e il rinvio all’emanazione di un DPCM, entro il 31/3/2014, per definire aumento di accise e prelievo fiscale per diversi miliardi di euro (circa 20 dal 2015 al 2017), evitabile solo con corrispondenti tagli alla spesa corrente attraverso l’ormai mitologica spending review, che, sino ad oggi, ha saputo soltanto penalizzare i lavoratori pubblici. È anche vero, tuttavia, che, laddove la crescita è frutto di una serie di fattori che devono interagire, è anche vero che la ripresa potrà partire da un’inversione del ciclo internazionale.

Da ultimo, è evidente che l’aggressione e la risoluzione dei nodi strutturali della nostra spesa pubblica è un problema che afferisce ai meccanismi che governano il consenso del nostro Paese.

Trattasi quindi di materia politica per eccellenza. Tuttavia, se il motore dell’economia non sarà alimentato con vera benzina, non potrà incrementarsi il Pil nel 2014, laddove gli effetti della manovra in narrativa devono essere valutati nel triennio, rimanendo comunque decisivo il nuovo corso di vigenza della riforma nel 2014. Quanto sopra non giustifica, tuttavia, il perdurare della stretta sul pubblico impiego, sul quale permangono i vincoli alle assunzioni e notevoli risparmi, facendo leva sugli istituti contrattuali: il blocco della contrattazione collettiva che è esteso al 2014, il congelamento fino al 2017 dell’indennità di vacanza contrattuale, la decurtazione di lavoro straordinario, l’allungamento dei tempi nella riscossione del TFR e la rateizzazione dell’indennità corrisposta una tantum comunque denominata e spettante a seguito di cessazioni, a vario titolo, dall’impiego ed, infine, i vincoli alle assunzioni. Per noi lavoratori pubblici, l’analisi di cui sopra non potrebbe tralasciare il rischio di un pesante prelievo sulla casa, visti gli interventi contenuti nel DDL di Stabilità. Al nostro amato Premier un riverente messaggio: un normale lavoratore pubblico se, brevemente, su una bilancia virtuale, somma da un lato il futuro misero aumento in busta paga, riveniente dal taglio al cuneo fiscale, e lo raffronta, dall’altra parte, con l’aumento della pressione fiscale, l’aumento dell’iva, l’aumento della tassazione sulla casa, il taglio delle agevolazioni fiscali, il blocco dell’aumento dello stipendio, il congelamento dell’indennità di vacanza contrattuale, il taglio degli straordinari, l’allungamento riscossione TFS e indennità varie per cessazione dall’impiego e la perdita del potere di acquisto del suo stipendio, non può che rimandare al mittente un’elegante ma intollerabile provocazione. Morale della favola: il salasso sugli statali, ovvero ancora lacrime e sangue, impongono, lungi dallo scaricare sul sindacato, una reazione collettiva nei tempi e nelle forme più opportune, perché occorre, non solo dimostrare ancora una volta che noi non rappresentiamo una spesa improduttiva, ma anche coagulare consenso nell’opinione pubblica e nella classe politica, con l’auspicio che la dirigenza che governa l’A.F. voglia, prima o poi, difendere i propri lavoratori. Quanto sopra, per evitare che alla perdita del potere di acquisto dei nostri stipendi (9 punti percentuali), alla perdita per mancato rinnovo dei contratti, che significa aver lasciato per strada oltre 10.000 euro lordi annui, alle oltre 500.000 unità di personale in meno e ai tagli di straordinari e alla rateizzazione TFR, non si aggiungano anche i licenziamenti di massa, in piena “cura greca”.

La nostra opposizione e quella della CONFSAL è forte e chiara.

Sebastiano Callipo

 

Nessun commento:

Posta un commento