giovedì, giugno 11, 2009

BOLLETTINO SINDACALE DEL 09 GIUGNO 2009

AGENZIA NAZIONALE PER I GIOVANI

Venerdì 5 giugno u.s. la Federazione Confsal-Unsa, insieme alle presenti CGIL, CISL e UIL, ha partecipato alla prima riunione per la definizione del CCN integrativo per il personale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani.
L’Agenzia è un organismo pubblico dotato di autonomia organizzativa e finanziaria, istituito dal Parlamento per dare attuazione alla Decisione degli organismi dell’Unione Europea che hanno istituito il programma Gioventù in Azione per il periodo 2007-2013.
Tuttavia l’Agenzia è ancora in una situazione ibrida, non essendo del tutto chiarito in quale comparto sarà definitivamente compresa: attualmente essa è considerata all’interno del Comparto Ministeri, ma non si può escludere una collocazione diversa e maggiormente rispondente allo svolgimento delle mansioni istituzionali ad essa affidate. In ogni caso, sia la Parte Pubblica che le OO.SS. presenti, hanno riconosciuto che l’adozione del Decreto Legislativo di attuazione della L. 15-2009 –che contiene una norma sulla organizzazione dei comparti di contrattazione- potrà fornire maggiore chiarezza sul contratto di riferimento dell’Agenzia.
Attualmente l’Agenzia ha una dotazione di 41 unità, di cui 3 dirigenti, divise in ruoli di istruttori e funzionari, per la maggior parte con contratto a tempo determinato.
L’Agenzia ha bandito un concorso per l’assunzione di 30 unità a tempo indeterminato che si svolgerà tra luglio e agosto, e dovrà portare all’assunzione dei vincitori entro il 30 settembre p.v., come previsto dalla norma. Nella fase di stabilizzazione della situazione dell’Agenzia sia giuridica (la sua collocazione in un determinato comparto) sia della sua dotazione organica (assunzione dei vincitori del prossimo concorso), le OO.SS. si sono occupate della situazione lavorativa del personale a contratto a tempo determinato, chiedendo spiegazioni circa l’adozione e il riconoscimento dei classici istituti previsti dai contratti collettivi nazionali, in merito all’orario di lavoro, alle ferie, ai permessi, ecc. considerando la possibilità di adottare un accordo ponte fino alla definizione della situazione normativa dell’Agenzia. Inoltre le OO.SS. hanno richiesto la presentazione di una bozza di contratto integrativo da parte dell’Amministrazione in modo da avere un punto di partenza per le prossime riunioni. I Dirigenti dell’Agenzia hanno convenuto su tale modalità di procedere. Le parti si sono date nuovo appuntamento per il 2 luglio p.v.
IL SEGRETARIO GENERALE Renato Plaja

AVVIATO L’ESAME CONGIUNTO IN PARLAMENTO DI DUE DISEGNI DI LEGGE D’INIZIATIVA POPOLARE

NORME IN MATERIA DI INTRODUZIONE DEL SALARIO MINIMO INTERCATEGORIALE E DEL SALARIO SOCIALE, PREVISIONE DI MINIMI PREVIDENZIALI, RECUPERO DEL FISCAL DRAG E INTRODUZIONE DELLA SCALA MOBILE - Disegno di legge N. 1453:
ISTITUZIONE DI UNA NUOVA SCALA MOBILE PER LA INDICIZZAZIONE AUTOMATICA DELLE RETRIBUZIONI DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI - Disegno di legge N. 1:


Si informa che il Parlamento, in data 12 maggio 2009, l’11ª Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) in sede referente ha avviato l’esame congiunto di due disegni di legge d’iniziativa popolare, il disegno di legge n°1 recante “Istituzione di una nuova scala mobile per la indicizzazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici “ ed il disegno di legge n°1453 recante “Norme in materia di introduzione del salario minimo intercategoriale e del salario sociale, previsione di minimi previdenziali, recupero del fiscal drag e introduzione della scala mobile “.
Il disegno di legge n. 1 ripropone un'iniziativa legislativa presentata nel corso della XV legislatura ed ha sottolineato che il disegno di legge n. 1453, di struttura più complessa, affronta quattro questioni, suggerendo l'introduzione:
1. di un salario minimo intercategoriale pari a 1.300 euro netti al mese;
2. di un salario sociale di 1.000 euro mensili, corrisposto a quanti siano disoccupati da 12 mesi, per i quali dopo 36 mesi è prevista l'assunzione con contratto a termine nella pubblica amministrazione;
3. del recupero del fiscal drag;
4. di una nuova scala mobile, sotto forma di recupero automatico del differenziale tra inflazione reale e inflazione programmata, con cadenza annuale (in base al disegno di legge n. 1453) ovvero trimestrale (in base al disegno di legge n. 1). L'applicazione è prevista anche per trattamenti pensionistici, indennità di disoccupazione, cassa integrazione guadagni e trattamenti di mobilità.
La copertura finanziaria è individuata attraverso l'unificazione al 20 per cento dell'aliquota applicabile ai proventi da interessi corrisposti su conti correnti bancari e rendite finanziarie, salvaguardando i redditi individuali al di sotto dei 50.000 euro l'anno, nonché attraverso l'abolizione della riduzione del cuneo fiscale per imprese, banche e assicurazioni.
In considerazione della delicatezza dei temi oggetto delle due iniziative legislative, nonché della specifica richiesta pervenuta da parte dei rappresentanti del comitato promotore nazionale dei provvedimenti, entrambi di iniziativa popolare. L’Onorevole Treu quale ha suggerito di procedere ad una serie di audizioni, da svolgersi in sede informale, compatibilmente con il calendario dei lavori della Commissione con la possibilità di lasciare aperta la discussione generale, rinviando lo svolgimento ad altra seduta.
Si allegano qui di seguito i due disegni di legge

SERVIZIO INFORMAZIONE E DOCUMENTAZIONE

Legislatura 16º - Disegno di legge N. 1453

DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa popolare, a norma dell’articolo 71, secondo comma,
della Costituzione e degli articoli 48 e 49 della legge 25 maggio 1970, n. 352

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 9 MARZO 2009

Norme in materia di introduzione del salario minimo intercategoriale e del salario sociale, previsione di minimi previdenziali, recupero del fiscal drag e introduzione della scala mobile

RELAZIONE

Onorevoli Senatori. – Non è vero che i bassi salari in Italia siano dovuti alla scarsa produttività del lavoro. Non è vero neppure che «ci sono troppe tasse» sul lavoro.

Siccome non è certo colpa del destino se non si arriva a fine mese, bisognerà individuare il responsabile. E la verità è che le enormi ricchezze prodotte dal lavoro sono state integralmente incamerate dai profitti e dalle rendite finanziarie: lo dicono tutti, ormai, ma nessuno, né nel Centrodestra né nel Centrosinistra, fa niente per recuperare il potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni. Bisogna dire basta a queste condizioni di miseria e a questa intollerabile ingiustizia sociale!
Nel luglio 2007 la BRI, Banca dei regolamenti internazionali, ha calcolato che negli ultimi 15 anni si è realizzato in Italia un gigantesco trasferimento di ricchezze dai salari ai profitti, frutto di precisi e coscienti interventi di politica economica.
Ogni anno, al valore attuale della moneta, 120 miliardi di euro sono passati dai redditi da lavoro a quelli da capitale: ciò significa che – mediamente – 7.000 euro all’anno sono stati «persi» da ogni singolo lavoratore o lavoratrice, in attività o in pensione, in base alla ricchezza prodotta, tutta intascata dai grandi capitalisti di questo paese.
Non è casuale che questo dato coincida con la definitiva cancellazione della Scala mobile in base agli accordi tra «governo Ciampi», Confindustria e Cgil-Cisl-Uil del 31 luglio 1992, che inaugurarono il nefasto periodo della concertazione sindacale, che cancellò le lotte e il conflitto sociale dalla sua iniziativa.
Questo dato della BRI fu tenuto nascosto da quasi tutta la stampa italiana (escluso un articolo del Manifesto), perché nel luglio 2007 – «Governo Prodi» in carica – si stava concludendo un nuovo micidiale accordo triangolare sul lavoro, noto come «Protocollo sul welfare».
Ma da anni tutti i dati ufficiali, oltre che, beninteso, le tasche di lavoratori e lavoratrici, parlavano di caduta verticale del potere d’acquisto e del perfetto rovesciamento del rapporto 60/40 (com’era negli anni Settanta) tra monte salari e monte profitti.
Ci ha pensato un altro istituto certamente non di parte operaia, come Mediobanca, a smontare l’argomento della scarsa produttività del lavoro in Italia, leit motiv di Confindustria condiviso da PDL, PD e sindacati concertativi: negli ultimi 10 anni la produttività ha fatto un balzo di ben il 19 per cento e i suoi frutti sono stati intascati dalle imprese. E tutto ciò grazie al «pacchetto Treu» (1987, governo Prodi) e alla sua continuazione, la legge 14 febbraio 2003, n. 30, cosiddetta «legge Maroni» (2004, «governo Berlusconi»), riconfermata da Prodi nel 2007, anno record in cui ben il 95 per cento di produttività è stato intascato dalle imprese!
Questi dati coincidono con le stime riportate dal «Corriere della sera» sull’andamento dei profitti italiani rapportati a quelli degli altri paesi dell’Eurozona. Anche quando si sono registrate lievi flessioni dei profitti sul valore aggiunto, questo risulta essere (maggio 2008) in Italia del 43,2 per cento, ossia il più alto di tutti – la media è del 39 per cento – e di quasi 10 punti superiore alla Gran Bretagna (34,8 per cento). Non è possibile che con le famiglie strozzate dai mutui e indebitate dai prestiti (si parla del 26 per cento di chi lavora) l’unica cosa che non si possa toccare siano i profitti delle imprese!
La cancellazione della Scala mobile e l’introduzione della cosiddetta “inflazione programmata dal governo” – in base alla quale rinnovare i contratti, non a caso sempre al di sotto dell’inflazione reale – ha rappresentato un disegno cosciente della borghesia italiana per far pagare ai lavoratori e alle lavoratrici «l’entrata» dell’Italia nei parametri di Maastricht, ossia nell’Europa dell’euro, puntando allo smantellamento delle conquiste in termini di salario, orario, diritti e sistema di welfare, realizzate in particolare nel ciclo di lotte dal 1968-69 al 1975.
È infatti in quel periodo che, cancellate le gabbie salariali che dividevano il paese con retribuzioni più basse al Centro-Sud rispetto al Centro-Nord, i lavoratori e le lavoratrici conquistano il sistema previdenziale retributivo (fine del sistema a capitalizzazione, aggancio pensioni-salari con rendimento del 2 per cento per anno di lavoro: ossia 70 per cento della retribuzione dopo 35 anni, 80 per cento dopo 40 anni); poi viene ottenuta l’abolizione del lavoro al sabato con l’introduzione della settimana di 40 ore, lo Statuto dei lavoratori e la parificazione normativa tendenziale tra operai e impiegati nei contratti, fino al «punto unico» di contingenza. È questo il culmine raggiunto dalle lotte operaie e sindacali, che rende il sistema di indicizzazione dei salari – la Scala mobile – più efficace e ugualitario: ad ogni aumento dei prezzi rilevato trimestralmente dall’Istat doveva corrispondere un aumento automatico di salari e stipendi, pubblici e privati, inserito in tutte le buste paga il mese successivo.
Con l’accordo Lama-Agnelli del 1975, il punto di contingenza – cioè l’aumento da corrispondere in base all’inflazione – diventava uguale per tutti, creando una formidabile compattezza di tutto il mondo del lavoro.
Quell’accordo fu imposto dalle lotte. Quasi nessuno lo condivideva realmente nel Parlamento e sicuramente non lo condividevano i principali contraenti: fu un modo per tentare di arginare una dinamica incontrollabile di mobilitazione dal basso.
Per far saltare quello straordinario risultato ci sono voluti 15 anni di martellamento per accreditare la tesi che l’inflazione era alimentata dagli aumenti salariali dovuti alla Scala mobile. Curioso, dato che questa scattava a seguito dell’aumento dei prezzi e non certo prima. Oggi ben sappiamo che l’inflazione non è generata dal recupero automatico: la Scala mobile non c’è, ma l’inflazione galoppa in presenza di salari da miseria. E quando questa rallenta è solo perché calano drammaticamente anche i consumi, persino quelli dei beni essenziali.
Gli attacchi hanno portato dapprima ad edulcorare e svuotare il meccanismo di adeguamento automatico, per arrivare appunto alla sua cancellazione totale nel 1992. Una legge popolare del 2006-2007 per iniziativa dei sindacati di base e della Rete 28A in Cgil (e sostenuta in parlamento anche dagli eletti di Sinistra critica) ha proposto la reintroduzione della Scala mobile: la maggioranza, allora rientrante nel Centro sinistra, non ha neppure messo in calendario la sua discussione. Questa proposta di legge tuttavia vive anche in questa legislatura perché le leggi popolari, a differenza di quelle proposte dai parlamentari, non decadono alla fine della legislatura ma vengono riassegnate alla Commissione competente (in questo caso la Commissione Lavoro del Senato), grazie alla loro ultrattività.
Un appello dei sindacalisti e dei delegati a sostegno della proposta di legge di Sinistra Critica sul salario ne richiede giustamente la discussione.
La proposta di legge popolare di Sinistra Critica sul salario si colloca nella migliore tradizione del movimento operaio che, partendo da un’esigenza immediata – e in questo caso particolarmente sentita dai lavoratori e dalle lavoratrici –, avanza una vera e propria riforma di struttura anticapitalistica, che va oltre la difesa del potere d’acquisto. Si tratta infatti di misure efficaci per aggredire, come vedremo, il nodo dei profitti e delle rendite (chi deve pagare), di dare un colpo al lavoro precario e sottopagato (attraverso soprattutto il salario sociale), di bloccare la tendenza all’aumento dell’orario di lavoro e di delineare un’alternativa economica e di società. In sintesi la legge propone:
– un salario minimo intercategoriale (SMIC) di 1.300 euro netti al mese;
– un salario sociale di 1.000 euro al mese (e la stessa cifra si propone per i minimi previdenziali da lavoro), corrisposto in parte in forma monetaria e in parte in beni e servizi, per tutti i periodi di non lavoro;
– il recupero del fiscal drag, vero furto dalle buste paga;
– una forma di scala mobile basata sul recupero integrale del differenziale tra inflazione programmata e inflazione reale.
Il tutto è finanziato con denaro fresco dalle imprese, dalla cancellazione della riduzione del cuneo fiscale e dalla tassazione delle rendite finanziarie.
Sinistra Critica non ha voluto di proposito costruire ex novo degli obiettivi, ma ha voluto riprendere direttamente i contenuti delle battaglie dei movimenti di questi anni e anche proposte istituzionali della sinistra, abbandonate con la partecipazione al «governo Prodi» con l’illusione di «governare il capitalismo».
1. Il salario minimo intercategoriale (SMIC) in Italia non esiste. Per decenni, in forza di una contrattazione sindacale decente e all’esistenza della Scala mobile, i «minimi» per legge non erano necessari. Ma come anche in altri paesi europei, se non c’è la scala mobile ci devono essere dei minimi salariali se non si vuole lasciare totale mano libera alle imprese.
Da quando non c’è più la Scala mobile (i citati accordi del luglio 1992, a cui sono seguiti quelli del luglio 1993), i salari di molti lavoratori sono finiti persino al di sotto della soglia di povertà: oggi ufficialmente questi sono il 20 per cento!
Un meccanismo automatico di indicizzazione dei salari con scatto trimestrale, che pure abbiamo riproposto nella legge popolare, è già in campo. Avanziamo qui una forma di recupero annuale per spezzare il meccanismo truffaldino della cosiddetta «inflazione programmata», con cui il governo stabilisce il tetto entro cui devono essere contenuti i rinnovi contrattuali (impedendo così da 16 anni qualsiasi «aumento reale» dei salari).
Il salario minimo più noto in Europa, lo SMIC francese, indipendentemente dalle vicende che l’hanno trasformato anche nel nome, può costituire un utile riferimento, anche dal punto di vista della sua entità. Il lordo già esistente in Francia (di cui i sindacati chiedono da tempo la rivalutazione) è quello che noi chiediamo al netto: circa 1.300 euro al mese per un tempo pieno.
In base alle 173 ore medie teoriche di una mensilità operaia, ciò significa 7,5 euro netti all’ora per il 2008, da moltiplicare per le ore del proprio contratto. Annualmente l’importo viene rivalutato in base all’indice Istat (tralasciamo qui «difetti» del paniere e del meccanismo di rilevazione).
Poiché i contratti di categoria prevedono un’articolazione in livelli, lo SMIC sostituisce il livello più basso (salvo condizioni dì miglior favore) e tutti i livelli superiori vengono automaticamente riparametrati in base al nuovo minimo. Ad esempio se i livelli superiori sono in un rapporto 100:110 e 100:150, la paga oraria diventa il 10 per cento in più nel primo caso (cioè 8,25 euro netti all’ora) e il 50 per cento in più nel secondo caso (ossia 11,25). E così via. Ovviamente fino al contratto collettivo successivo.
Nessun rapporto di lavoro può essere stipulato sotto lo SMIC.
Si tratta di denaro «fresco» in busta paga; ossia non c’è bisogno di «copertura» di bilancio se non per il settore pubblico, perché l’aumento salariale è pagato direttamente dalle imprese anziché dalla fiscalità come con l’avvenuta defiscalizzazione dello straordinario (2008 - Governo Berlusconi) o sua decontribuzione (2007 - Governo Prodi).
2. Il salario sociale. Sull’onda delle lotte della Rete delle marce europee contro la disoccupazione e la precarietà degli anni Novanta è entrato a far parte delle piattaforme dei sindacati di base e non concertativi. Dal milione di lire della proposta di legge di 8 anni fa siamo passati alla proposta dei 1.000 euro di oggi, sempre tenendo conto della soglia di povertà (ossia il 60 per cento di un’ipotetica «media» salariale), mantenendo un rapporto 70-30 per la parte di erogazione monetaria da parte del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e per quella in beni e servizi gratuiti da parte della regione di appartenenza anche per riaffermare per questa via la validità dei servizi pubblici gratuiti e non la loro monetizzazione. I bonus opzionali sono questo: per un ammontare di 300 euro mensili si può scegliere di abbattere il costo dei trasporti pubblici, il canone d’affitto o le spese per luce e gas, per gli studi, e così via. Non è «la luna»: si tratta di meccanismi già previsti nell’assistenza sociale o per le detrazioni e in più si parametra alle esigenze effettive.
Abbiamo lasciato il criterio dei 12 mesi di iscrizione al collocamento e i 18 mesi di residenza in Italia, così come i tre anni di erogazione del salario sociale al termine dei quali è obbligatoria l’assunzione pubblica per almeno due anni nei servizi sociali.
Questo meccanismo, tra l’altro, lega strettamente il diritto al salario al diritto al lavoro che è costituzionalmente dovuto.
Confermata anche la non tassazione e il concorso alla maturazione dei contributi ai fini previdenziali.
Il salario sociale è un reddito garantito a chi non ha lavoro ma anche a chi non è disposto ad accettare qualsiasi lavoro precario, in nero, nocivo, non contrattualmente definito: ossia si punta a «un lavoro vero a salario intero» come abbiamo sempre detto. Un deterrente formidabile contro la precarietà. Esiste come principio in quasi tutti i paesi europei, che cercano oggi di abbatterlo dove ha valori consistenti, cercando di introdurre il workfare al posto del welfare, come deciso dall’Unione europea a Lisbona nel 2000. Ma ancora, ovunque in Europa, ci sono condizioni migliori che in Italia.
3. L’aumento dei minimi previdenziali per le pensioni da lavoro a 1.000 euro, unificando così tendenzialmente i periodi di «non lavoro» all’incirca attorno all’80 per cento dei minimi salariali, consente di tenersi appunto al di sopra della soglia di povertà. Ma soprattutto spinge in alto tutte le erogazioni previdenziali da lavoro e costituisce un punto di riferimento possibile anche per quelle assistenziali (che, lo ricordiamo, devono dipendere dalla fiscalità generale e non dagli enti previdenziali). La sola separazione tra assistenza e previdenza assorbirebbe questi aumenti e in ogni caso le coperture proposte all’articolo 3 completano il fabbisogno.
Il recupero del fiscal drag o drenaggio fiscale è obiettivo storico di tutti i sindacati, e anche del Centrosinistra, a parole. Ma è anche legge dello Stato, legge 27 aprile 1989, n. 154, di conversione in legge del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, e ci mancherebbe che non fosse così. Non applicarla, in base alla deroga che i governi di Centrosinistra e di Centrodestra hanno inserito successivamente, significa letteralmente rubare dalle buste paga, cioè far pagare ai lavoratori dipendenti più di quanto previsto dalla legge, in un paese con oltre 100 miliardi di euro annui di evasione fiscale! Il non recupero del fiscal drag ha pesato, secondo la Banca d’Italia, per due terzi del mancato recupero del potere d’acquisto degli ultimi cinque anni. L’Ires Cgil ha calcolato che mediamente i lavoratori hanno perso 1.182 euro per il mancato recupero del fiscal drag dal 2002 al 2008.
Il meccanismo della citata legge n. 154 del 1989 è semplice anche se può apparire complesso: dato che le aliquote fiscali sono costituzionalmente progressive, se un lavoratore supera un’aliquota definita in base a un determinato potere d’acquisto solo in virtù di un aumento «nominale» del salario (e non reale, anzi, come è successo, persino perdendo salario reale), l’eccesso di tasse pagato quando il tasso d’inflazione supera il 2 per cento deve essere «restituito» modificando il livello di reddito in cui scatta l’aliquota fiscale superiore. Sinistra Critica propone che questo meccanismo si applichi «obbligatoriamente» (cioè abolendo la deroga governativa) e a partire dal superamento dell’1 per cento di inflazione annua.
5. La scala mobile è qui riproposta sotto forma del recupero automatico del differenziale tra inflazione reale e inflazione programmata (o ’realisticamente prevedibile’), un meccanismo escogitato 15 anni fa con l’esplicito obiettivo di abbassare i salari per applicare in Italia i parametri di Maastricht. I 120 miliardi di euro annui trasferiti dal monte salari al monte profitti, come abbiamo detto, sono questo. Le retribuzioni e le pensioni, secondo la proposta, recuperano integralmente il differenziale a ogni fine anno: si tratta di un meccanismo meno sensibile del recupero trimestrale, ma pur sempre un’indicizzazione che impedisce la truffa in atto a favore delle imprese.
6. La copertura finanziaria ci permette di evidenziare «da dove si devono prendere i soldi». La tassazione delle rendite da capitale a partire dai titoli di Stato che anche il «governo Prodi» doveva portare dall’attuale 12,5 per cento al 20 per cento, unificando il prelievo della tassazione dei conti correnti con l’abbassamento dal 27 al 20 per cento, è il primo punto, salvaguardando tutti i redditi individuali al di sotto dei 50.000 euro all’anno. È sufficiente che i titoli siano dichiarati nella denuncia dei redditi e tutti i lavoratori continueranno a pagare le vecchie aliquote. Naturalmente, come molti giustamente sostengono, si poteva decidere anche una misura di inserimento di tutti i titoli nelle dichiarazioni dei redditi o altre ipotesi: ci accontentiamo di riprendere l’iniziativa da dove ci si era fermati insieme a molti altri soggetti politici e sociali.
Ma la misura decisiva che produce le entrate più consistenti è la cancellazione della riduzione del cuneo fiscale per imprese, banche e assicurazioni. Si tratta di oltre 7 miliardi di euro annui di erogazioni a perdere nei confronti del profitto decisi da Prodi con la sua prima manovra finanziaria e che, da allora, vengono erogati per sempre, se non sopravviene una norma a cancellare questa «tassa Robin Hood alla rovescia»! Tremonti ha fatto propaganda per qualche settimana parlando di «tassare» i petrolieri: in realtà aveva preso in considerazione solo l’eccesso di sovrapprofitto dovuto al rialzo del prezzo del petrolio che si paga in dollari. Ma nessun intervento sul cuneo, per carità. In generale Sinistra Critica contrasta gli interventi fiscali come forma per sostenere i salari, perché – com’è noto, ma lo si vuol far dimenticare – sono i lavoratori a supportare per almeno il 75 per cento le entrate e quindi, nella migliore delle ipotesi, si tratterebbe di una partita di giro. Come neppure l’intervento sui prezzi è realmente realizzabile, a parte per le tariffe pubbliche, dato che non è possibile fissare i prezzi per legge, né le merci sono prodotte solo in un paese: pensare al blocco dei prezzi, come propone qualcuno, rischia di essere illusorio e sicuramente è deviante.

DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Salario minimo intercategoriale - SMIC)
1. La retribuzione oraria minima per tutte le tipologie di lavoro pubblico e privato, al netto dei contributi previdenziali e assistenziali, denominata salario minimo intercategoriale (SMIC), non può essere inferiore all’importo definito ai sensi della presente legge. Nessun contratto di lavoro può essere stipulato con una retribuzione inferiore allo SMIC.
2. Lo SMIC è incrementato al 1º gennaio di ogni anno in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati definita dall’Istat.
3. Il valore orario dello SMIC per il 2008 è di 7,5 euro netti. La retribuzione è calcolata sulla base del predetto importo, da applicare alle ore di lavoro mensili previste dal contratto.
4. Per i contratti di lavoro in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, fatte salve le condizioni di miglior favore, lo SMIC si applica al livello retributivo inferiore e si procede altresì alla riparametrazione dei livelli superiori fino ai successivi rinnovi.
Art. 2.
(Delega al Governo)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi contenenti norme intese a modificare la disciplina delle indennità di disoccupazione e dei minimi previdenziali.
2. Il Governo, nell’esercizio della delega di cui al comma 1, fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, previste dai relativi statuti, dalle norme di attuazione e dal titolo V della parte II della Costituzione, si atterrà ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) prevedere e disciplinare l’introduzione del salario sociale, da corrispondere a tutte le persone maggiorenni disoccupate da almeno dodici mesi e residenti in Italia da almeno diciotto mesi;
b) stabilire l’importo del salario sociale nella misura di 1.000 euro mensili e prevedere che esso sia corrisposto, per il 70 per cento, in forma monetaria dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e, per il restante 30 per cento, in beni e servizi gratuiti forniti dalla regione tramite bonus opzionali; stabilire in trentasei mesi la durata massima del salario sociale; prevedere che, al termine del suddetto periodo, in assenza di offerte di impiego a tempo indeterminato, la pubblica amministrazione proceda all’assunzione dell’avente diritto con contratto a tempo determinato della durata di almeno ventiquattro mesi; stabilire che il salario sociale non è sottoposto a tassazione e concorre figurativamente ai fini previdenziali;
c) fissare l’importo dei minimi previdenziali nella misura minima di 1.000 euro;
d) consentire il recupero del drenaggio fiscale di cui al decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, modificando automaticamente le aliquote fiscali di retribuzioni ed erogazioni previdenziali sulla base dell’incremento dell’1 per cento dell’indice dei prezzi al consumo registrato al 31 agosto di ogni anno e disponendo l’abrogazione di tutte le norme che consentono deroghe a tale principio da parte del Ministero dell’economia e delle finanze;
e) prevedere che il differenziale registrato annualmente tra inflazione programmata, o realisticamente prevedibile, e inflazione reale, sia recuperato integralmente con le retribuzioni e le erogazioni previdenziali del mese di gennaio di ogni anno.
Art. 3.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dalla presente legge si provvede con le maggiori entrate conseguenti all’applicazione delle seguenti misure:
a) unificazione al 20 per cento dell’aliquota fiscale applicabile ai proventi da interessi corrisposti sui conti correnti bancari e per le rendite finanziarie, con esclusione dei redditi annuali individuali fino a 50.000 euro che mantengono il regime di prelievo attuale per le rendite inserite nella dichiarazione dei redditi;
b) abolizione della riduzione del cuneo fiscale per imprese banche e assicurazioni, previsto dalle disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 266 a 269, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché dalle disposizioni introdotte dall’articolo 15-bis del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127.

Legislatura 16º - Disegno di legge N. 1

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa popolare, a norma dell’articolo 71, secondo comma, della Costituzione e degli articoli 48 e 49 della legge 25 maggio 1970, n. 352

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 9 NOVEMBRE 2006

Istituzione di una nuova scala mobile per la indicizzazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici

Già stampato n. 1146 della XV Legislatura

Onorevoli Senatori. – Premesso che:
nel mese di luglio del 1992 il Governo, la Confindustria e CGIL-CISL-UIL sottoscrissero un accordo interconfederale a seguito del quale venivano definitivamente abrogati gli accordi sindacali e le norme di legge aventi per oggetto l’indicizzazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori e lavoratrici pubblici e privati all’inflazione rilevata dall’ISTAT, la cosiddetta scala mobile;
con lo stesso accordo interconfederale la scala mobile veniva sostituita con un modello contrattuale basato sull’inflazione programmata da contrattare, comparto per comparto, ad ogni rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL);
tale modello di difesa delle retribuzioni e delle pensioni non è riuscito a tutelare il potere di acquisto delle stesse.
Infatti, la differenza che ogni anno si determina tra l’inflazione programmata e l’inflazione rilevata non viene colmata dai rinnovi contrattuali, tanto da aver determinato il reale impoverimento di milioni di famiglie di operai, impiegati e pensionati:
la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e dei pensionati ha prodotto il crollo dei consumi, con ripercussioni anche sul sistema commerciale, agricolo e industriale;
lo stesso meccanismo di rilevazione dei prezzi al consumo da parte dell’ISTAT deve essere integralmente rivisto, inserendo nel paniere voci che lo rendano effettivamente adeguato alla spesa reale di lavoratori e lavoratrici;
la lotta per la cancellazione della legge 14 febbraio 2003, n. 30, e di tutte le tipologie di lavoro precarie è fondamentale e comunque occorre tutelare da subito tutti i redditi da lavoro esistenti e le pensioni;
i sottoscritti cittadini italiani, ritenuto che il meccanismo della scala mobile costituisce un efficace sistema di salvaguardia delle retribuzioni, promuovono la seguente legge di iniziativa popolare volta a tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori pubblici e privati le cui retribuzioni saranno automaticamente adeguate con costi a carico dei datori di lavoro pubblici e privati.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.
1. Con lo scopo di tutelare i salari e gli stipendi dei lavoratori dipendenti dall’aumento dei prezzi e delle tariffe viene introdotto, con la presente legge, un meccanismo di adeguamento automatico dei salari e degli stipendi.

2. Le retribuzioni mensili corrisposte, dai datori di lavoro e dai committenti, pubblici o privati, ai lavoratori dipendenti, ai soggetti titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui all’articolo 409, primo comma, numero 3), del codice di procedura civile, ivi compresi i lavoratori a progetto di cui al Titolo VII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ed ai soci lavoratori di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 3 aprile 2001, n. 142, e successive modificazioni, sono integrate, con cadenza trimestrale, per un ammontare determinato applicando alla retribuzione di cui all’articolo 27 del testo unico delle norme concernenti gli assegni familiari, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive modificazioni, corrisposta nel trimestre precedente, la percentuale stabilita con la procedura di cui al comma 3 del presente articolo.
3. Le retribuzioni di cui al comma 2 sono incrementate, con cadenza trimestrale, dell’importo determinato con la seguente procedura:
a) l’indice ISTAT relativo all’andamento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati è fissato convenzionalmente a 100, alla data di entrata in vigore della presente legge, ai fini del computo di cui alla lettera b);
b) per ogni variazione pari a un punto percentuale dell’indice ISTAT come fissato convenzionalmente alla lettera a), è corrisposto un incremento di retribuzione nella misura dell’80 per cento della suddetta variazione, ai sensi dell’articolo 1, secondo comma, della legge 13 agosto 1980, n. 427, e successive modificazioni;
c) ai fini di cui alla lettera b), le frazioni di punto pari o superiori allo 0,50 per cento sono arrotondate all’unità superiore;
d) il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto da adottare con cadenza trimestrale, stabilisce l’ammontare dell’aumento di retribuzione di cui al presente comma, calcolato in base a quanto previsto nelle lettere a), b) e c).
4. Le pensioni erogate dagli enti previdenziali pubblici e privati, nonché le indennità di disoccupazione, di cassa integrazione guadagni, straordinaria ed ordinaria, e di mobilità sono integrate con la medesima cadenza e per gli stessi importi stabiliti ai sensi dei commi 2 e 3.
5. Alla quantificazione e alla relativa copertura finanziaria degli eventuali oneri derivanti dall’applicazione della presente legge, si provvede con legge finanziaria, ai sensi dell’articolo 11, comma 5, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

Atto Senato n. 1146 XV Legislatura

Istituzione di una nuova scala mobile per la indicizzazione delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici
Iter
19 dicembre 2006: in corso di esame in commissione
Successione delle letture parlamentari S 1146 in corso di esame in commissione 19 dicembre 2006
Iniziativa
Popolare
Natura
ordinaria
Presentazione
Presentato in data 9 novembre 2006; annunciato nella seduta ant. n. 69 del 9 novembre 2006.
Classificazione TESEO
INDICIZZAZIONE DELLA RETRIBUZIONE , SCALA MOBILE
Articoli
INDICI STATISTICI (Art.1), DECRETI MINISTERIALI (Art.1), PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (Art.1), INDICIZZAZIONE DELLE PENSIONI (Art.1), CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI (Art.1), INDENNITA' DI DISOCCUPAZIONE (Art.1), INDENNITA' DI MOBILITA' (Art.1)
Relatori
Relatore alla Commissione Sen. Giorgio Roilo (Ulivo) nominato il 19 dicembre 2006 .
Assegnazione
Assegnato alla 11ª Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) in sede referente il 21 novembre 2006. Annuncio nella seduta ant. n. 77 del 21 novembre 2006.
Pareri delle commissioni 1ª (Aff. cost.), 5ª (Bilancio)

Legislatura 15º - Disegno di legge N. 1146
SENATO DELLA REPUBBLICA
———– XV LEGISLATURA ———–
N. 1146
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa popolare, a norma dell’articolo 71, secondo comma, della Costituzione e degli articoli 48 e 49 della legge 25 maggio 1970, n. 352
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 9 NOVEMBRE 2006
Istituzione di una nuova scala mobile per la indicizzazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici

Onorevoli Senatori. – Premesso che:
nel mese di luglio del 1992 il Governo, la Confindustria e CGIL-CISL-UIL sottoscrissero un accordo interconfederale a seguito del quale venivano definitivamente abrogati gli accordi sindacali e le norme di legge aventi per oggetto l’indicizzazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori e lavoratrici pubblici e privati all’inflazione rilevata dall’ISTAT, la cosiddetta scala mobile;
con lo stesso accordo interconfederale la scala mobile veniva sostituita con un modello contrattuale basato sull’inflazione programmata da contrattare, comparto per comparto, ad ogni rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL);
tale modello di difesa delle retribuzioni e delle pensioni non è riuscito a tutelare il potere di acquisto delle stesse.
Infatti, la differenza che ogni anno si determina tra l’inflazione programmata e l’inflazione rilevata non viene colmata dai rinnovi contrattuali, tanto da aver determinato il reale impoverimento di milioni di famiglie di operai, impiegati e pensionati:
la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e dei pensionati ha prodotto il crollo dei consumi, con ripercussioni anche sul sistema commerciale, agricolo e industriale;
lo stesso meccanismo di rilevazione dei prezzi al consumo da parte dell’ISTAT deve essere integralmente rivisto, inserendo nel paniere voci che lo rendano effettivamente adeguato alla spesa reale di lavoratori e lavoratrici;
la lotta per la cancellazione della legge 14 febbraio 2003, n. 30, e di tutte le tipologie di lavoro precarie è fondamentale e comunque occorre tutelare da subito tutti i redditi da lavoro esistenti e le pensioni;
i sottoscritti cittadini italiani, ritenuto che il meccanismo della scala mobile costituisce un efficace sistema di salvaguardia delle retribuzioni, promuovono la seguente legge di iniziativa popolare volta a tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori pubblici e privati le cui retribuzioni saranno automaticamente adeguate con costi a carico dei datori di lavoro pubblici e privati.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
1. Con lo scopo di tutelare i salari e gli stipendi dei lavoratori dipendenti dall’aumento dei prezzi e delle tariffe viene introdotto, con la presente legge, un meccanismo di adeguamento automatico dei salari e degli stipendi.
2. Le retribuzioni mensili corrisposte, dai datori di lavoro e dai committenti, pubblici o privati, ai lavoratori dipendenti, ai soggetti titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui all’articolo 409, primo comma, numero 3), del codice di procedura civile, ivi compresi i lavoratori a progetto di cui al Titolo VII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ed ai soci lavoratori di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 3 aprile 2001, n. 142, e successive modificazioni, sono integrate, con cadenza trimestrale, per un ammontare determinato applicando alla retribuzione di cui all’articolo 27 del testo unico delle norme concernenti gli assegni familiari, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive modificazioni, corrisposta nel trimestre precedente, la percentuale stabilita con la procedura di cui al comma 3 del presente articolo.
3. Le retribuzioni di cui al comma 2 sono incrementate, con cadenza trimestrale, dell’importo determinato con la seguente procedura:
a) l’indice ISTAT relativo all’andamento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati è fissato convenzionalmente a 100, alla data di entrata in vigore della presente legge, ai fini del computo di cui alla lettera b);
b) per ogni variazione pari a un punto percentuale dell’indice ISTAT come fissato convenzionalmente alla lettera a), è corrisposto un incremento di retribuzione nella misura dell’80 per cento della suddetta variazione, ai sensi dell’articolo 1, secondo comma, della legge 13 agosto 1980, n. 427, e successive modificazioni;
c) ai fini di cui alla lettera b), le frazioni di punto pari o superiori allo 0,50 per cento sono arrotondate all’unità superiore;
d) il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto da adottare con cadenza trimestrale, stabilisce l’ammontare dell’aumento di retribuzione di cui al presente comma, calcolato in base a quanto previsto nelle lettere a), b) e c).
4. Le pensioni erogate dagli enti previdenziali pubblici e privati, nonché le indennità di disoccupazione, di cassa integrazione guadagni, straordinaria ed ordinaria, e di mobilità sono integrate con la medesima cadenza e per gli stessi importi stabiliti ai sensi dei commi 2 e 3.5. Alla quantificazione e alla relativa copertura finanziaria degli eventuali oneri derivanti dall’applicazione della presente legge, si provvede con legge finanziaria, ai sensi dell’articolo 11, comma 5, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

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