venerdì, giugno 22, 2007

COMPORTAMENTO ANTISINDACALE: INTENZIONALITA' DI LEDERE DIRITTI E LIBERTA' SINDACALI Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 18.04.2007 n. 9250

L'intenzionalità di ledere i diritti e le libertà sindacali da parte del datore di lavoro non è un elemento necessario e tanto meno sufficiente a configurare il comportamento antisindacale. Così ha stabilito la Cassazione civile, sezione lavoro, con la sentenza 18.04.2007, n. 9250, con cui ha affrontato il tema della condotta antisindacale. La Corte ha ripreso un indirizzo delle sezioni Unite ormai consolidato (n. 5295/1997) secondo cui, "la definizione della condotta antisindacale data dall'art. 28 St. Lav. non è analitica ma teleologica, nel senso che la norma individua il comportamento illegittimo in base non a caratteristiche strutturali, bensì alla sua idoneità a ledere i "beni" protetti". Invero, è stato fatto osservare che la previsione della norma è volutamente indeterminata, in quanto il legislatore del 1970 era consapevole del quadro delle relazioni industriali il cui conflitto poteva assurgere e configurarsi in indeterminabili modalità, non classificabili a priori nel testo di una legge. Pertanto, secondo la giurisprudenza dominante, per integrare la condotta antisindacale è sufficiente accertare la lesività del comportamento datoriale, cioè, la sua idoneità ad ostacolare l'esercizio dei diritti e libertà sindacali, indipendentemente dall'esistenza di un elemento psicologico, doloso o colposo. Nella fattispecie in esame, che aveva visto coinvolto un dipendente delle poste s.p.a., che aveva fruito di un permesso sindacale e, dopo un procedimento disciplinare, era stato licenziato per assenza arbitraria, in quanto non avrebbe comunicato all'ente la sua posizione sindacale e la fruizione del permesso – elementi poi che erano stati ritenuti pretestuosi – il Collegio ha rilevato, infatti, che non era semplice discernere fra comportamenti datoriali antagonisti al sindacato, che sono leciti e si realizzano all'interno del conflitto tra le parti, e comportamenti che invece ostacolano tale conflitto.  La Corte, comunque, con l'ausilio dell'indirizzo delle sezioni Unite nella citata sentenza n. 5295/1997, che prescinde dalla sussistenza dell'elemento psicologico del datore di lavoro ai fini della configurazione della condotta antisindacale, e conformemente ad altre pronunce (Cass. n. 7706/2004, Cass. n. 1600/1998) ha ritenuto irrilevante indagare sull'intenzionalità del datore di lavoro, che quand'anche fosse incorso in un errore di valutazione circa la lesività della propria condotta, tuttavia, ciò "non fa venire meno l'esigenza di una tutela della libertà sindacale e dell'inibizione dell'attività oggettivamente lesiva di tale libertà; né può considerarsi sufficiente poiché l'intento del datore di lavoro non può far considerare antisindacale un'attività che non appare obiettivamente diretta a limitare la libertà sindacale". Per dovere di completezza, si deve però far rilevare, al riguardo, che non mancano pronunce che assumono delle posizioni più articolate (Cass. Sezioni unite 12 giugno 1997, n. 5295; Cass. 23 marzo 1994, n. 2808; Cass. Sezioni Unite 1 dicembre 1999) secondo cui l'intenzionalità datoriale è irrilevante, ma soltanto in presenza di un comportamento contrastante con una norma imperativa. Per un altro indirizzo minoritario, invece (Cass. 8 settembre 1995, n. 9501), l'intenzionalità del datore è rilevante quando la condotta se pur obiettivamente lecita, tuttavia si presenta come un abuso del diritto diretto a fini diversi da quelli giuridicamente tutelati.

 

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